Clinical Evaluation Plan (CEP) per Medical Device

La valutazione clinica di un dispositivo medico è fondamentale per ottenere e mantenere l’approvazione del mercato UE.

Per pianificare e documentare la valutazione clinica e le evidenze cliniche, sono essenziali un piano di valutazione clinica (CEP) e un rapporto di valutazione clinica (CER) ben progettati e scritti in modo chiaro.

Questi due documenti, necessari per supportare evidenze cliniche credibili sulla sicurezza e sulle prestazioni del dispositivo, sono essenziali per lo sviluppo e l’approvazione del dispositivo stesso e devono essere conformi a MDR 2017/745.

Del CER abbiamo parlato in questo articolo:

CLINICAL EVALUATION REPORT PER I DISPOSITIVI MEDICI: OVERVIEW

Il CEP e il CER, come parte della Documentazione Tecnica, sono obbligatori per tutte le classi di dispositivi, siano essi nuovi o già in commercio, e sono esaminati dagli Organismi Notificati.

Entrambi i documenti devono essere datati, controllati nella versione e firmati dal responsabile della regolamentazione, dai valutatori e dal produttore.

In questo approfondimento parleremo del Clinical Evaluation Plan.

Cos’è il Clinical Evaluation Plan?

Il Clinical Evaluation Plan (CEP) è un importante documento tecnico che serve a delineare un piano per condurre la valutazione clinica di un dispositivo medico. E’ un documento essenziale per assicurare che le valutazioni cliniche siano eseguite in modo corretto e secondo un processo stabilito in anticipo.

Poiché la creazione di un Piano di Valutazione Clinica conforme è obbligatoria per tutti i dispositivi medici ai sensi del Regolamento sui Dispositivi Medici (UE) 2017/745, è essenziale che i produttori abbiano chiari i requisiti per i CEP e comprendano appieno come strutturare, scrivere e aggiornare un CEP per i loro dispositivi medici.

Quali sono i requisiti per la scrittura di un CEP secondo MDR?

L’articolo 61, paragrafo 3, della MDR stabilisce che una valutazione clinica deve “seguire una procedura definita e metodologicamente valida“, il che significa che è necessario stabilire in anticipo un piano di valutazione clinica che definisca le modalità di svolgimento della valutazione.

L’allegato XIV della MDR, parte A, fornisce ulteriori dettagli sui requisiti dei CEP, affermando che essi devono includere almeno i seguenti elementi:

  • l’identificazione dei GSPR che richiedono il supporto di dati clinici pertinenti;
  • una specifica della destinazione d’uso del dispositivo;
  • una chiara specifica dei gruppi target previsti con indicazioni e controindicazioni chiare;
  • una descrizione dettagliata dei benefici clinici previsti con parametri di esito clinico pertinenti e specificati;
  • una specifica dei metodi da utilizzare per l’esame degli aspetti qualitativi e quantitativi della sicurezza clinica con un chiaro riferimento alla determinazione dei rischi residui e degli effetti collaterali;
  • un elenco indicativo e una specifica dei parametri da utilizzare per determinare, sulla base dello stato dell’arte della medicina, l’accettabilità del rapporto beneficio/rischio per le varie indicazioni e per lo scopo previsto del dispositivo;
  • un’indicazione di come verranno affrontate le questioni relative al rapporto beneficio/rischio…;
  • un piano di sviluppo clinico

La struttura

Quando si pianifica la struttura di un CEP, vale la pena avere in mente un quadro semplice da utilizzare come punto di riferimento. Un esempio è il seguente:

  • identificazione, classificazione e descrizione generale del dispositivo
  • contesto e scopo del CEP
  • sintesi della metodologia del CEP (ad esempio, uso della letteratura / percorso di equivalenza, ecc.)
  • ipotesi da testare durante la valutazione
  • scopo previsto, benefici clinici, indicazioni e controindicazioni
  • identificazione di dispositivi simili
  • analisi delle GSPR rilevanti e non rilevanti con giustificazione di quelle non rilevanti
  • un protocollo di ricerca dettagliato per identificare, valutare e analizzare le evidenze cliniche.

Ogni sezione deve essere scritta in modo chiaro e sufficientemente dettagliato da consentire a persone diverse dall’autore di seguire con precisione il piano.

Due aspetti di un piano di valutazione clinica che comunemente generano confusione sono la necessità di costruire un’ipotesi e l’obbligo di definire un protocollo di ricerca. Per questo motivo, ognuno di questi aspetti merita una considerazione specifica.

L’ipotesi di Clinical Evaluation

Se eseguita correttamente, la valutazione clinica è un processo che utilizza l’evidenza clinica per testare un’idea; se formata correttamente, tale idea dovrebbe essere espressa come un’ipotesi. Un’ipotesi può essere definita come un'”affermazione testabile“, in altre parole un’affermazione che può essere esaminata per verificarne la validità di fronte all’evidenza.

In una valutazione clinica, la prassi migliore è quella di sviluppare un’ipotesi quantitativa elaborata utilizzando i risultati di precedenti revisioni della letteratura o di precedenti esperienze con dispositivi simili. Un esempio di ipotesi quantitativa è:

Se utilizzato come previsto, il dispositivo soggetto a trattamento determinerà una riduzione media del dolore di almeno 5 punti su una scala da 0 a 10 a 3 mesi dall’utilizzo.

Sebbene le ipotesi quantitative siano da preferire, è possibile includere anche ipotesi qualitative, se logiche e ragionevoli. Ad esempio:

Se utilizzato come previsto, il dispositivo sarà associato a tipi di eventi avversi (in percentuale delle vendite del dispositivo) non più gravi di quelli osservati in seguito all’uso di dispositivi alternativi comparabili.

Che sia quantitativa o qualitativa, bisogna assicurarsi che l’ipotesi sia adatta a essere testata nella valutazione clinica. I risultati di una precedente revisione della letteratura possono essere molto utili in questo caso.

Sviluppo del protocollo di ricerca

Un elemento essenziale di tutti i piani di valutazione clinica è un protocollo di ricerca. Questo protocollo è un piano per l’identificazione, la valutazione e l’analisi dei dati clinici. Per molti versi, costituisce il fulcro del processo di valutazione clinica e un CEP sarà ritenuto non conforme senza un protocollo di ricerca chiaramente costruito.

Nello sviluppare il protocollo di ricerca, è necessario prestare attenzione a tutti e tre gli elementi che lo costituiscono (identificazione delle evidenze, valutazione, analisi dei dati).

1. Identificazione delle evidenze cliniche

Questa sezione deve illustrare le modalità di identificazione delle evidenze rilevanti da includere nella valutazione. Le evidenze devono provenire sia dal produttore che da fonti indipendenti, come le pubblicazioni su riviste, quindi è necessario descrivere il processo per identificare le evidenze da ciascuna fonte.

Per quanto riguarda la letteratura indipendente, un punto di partenza ragionevole è la stesura di una o più domande di ricerca da affrontare nella revisione della letteratura. Così facendo dovrebbe essere più facile definire termini di ricerca precisi da inserire in database clinici come PubMed.

Altri aspetti da considerare sono i criteri di inclusione e di esclusione: per le fonti escluse, quali giustificazioni saranno fornite e come saranno documentate nel CER?

Il test di sufficienza di un protocollo di identificazione consiste nel verificare se una persona indipendente possa seguire le istruzioni e ottenere un risultato sostanzialmente identico a quello di un’altra persona. Questo test assicura che il piano di identificazione delle evidenze sia sufficientemente dettagliato.

2. Acquisizione delle evidenze cliniche

Il passo successivo consiste nel descrivere il modo in cui la qualità di una fonte viene determinata e registrata. In parole povere, la valutazione serve a stabilire quanto sia ben condotto uno studio e quanto sia rilevante per la valutazione; è un precursore necessario dell’analisi dei dati, che descrive quanta enfasi debba essere data ai risultati di una fonte nella valutazione.

Un buon approccio è quello di stabilire un punteggio o uno schema di valutazione per il campione, le dimensioni, il periodo di follow-up, i metodi statistici, la rilevanza clinica e altri aspetti più personalizzati della qualità dello studio.

Se si stabilisce uno schema di valutazione questo non può essere “modificato” per adattarsi alla qualità degli studi favorevoli identificati. Ciò contribuisce a dimostrare che la valutazione clinica soddisfa il test di obiettività imposto da MDR.

3. Analisi delle evidenze cliniche

L’ultima componente del protocollo di ricerca CEP è un sistema di analisi delle evidenze cliniche. In breve, l’analisi considera quale “messaggio” può essere ricavato dalle evidenze identificate. In particolare, cosa dicono le evidenze in merito a:

  • l’idoneità del dispositivo allo scopo previsto
  • il profilo rischio/beneficio del dispositivo
  • la conformità ai requisiti di sicurezza e performance (GSPR)

Nella stesura del piano di analisi delle evidenze, è necessario assicurarsi che il piano sia sufficientemente dettagliato per essere seguito in modo indipendente e coerente, senza lasciare spazio a modifiche soggettive dei risultati dopo la conclusione della valutazione.

General Safety & Performance Requirements (GSPRs)

Un’altra componente fondamentale di un piano di valutazione clinica MDR dell’UE è l’analisi della pertinenza dei GSPR dell’Allegato I della MDR.

Tale analisi deve comprendere un elenco completo dei requisiti rilevanti e una giustificazione di quelli ritenuti non rilevanti per il dispositivo.


Fonte

Writing a Clinical Evaluation Plan for the EU MDR. A guide to producing Clinical EvaluationPlans for EU MDR compliance

Clinical Evaluation Report per i dispositivi medici: overview

In questo articolo esploreremo i diversi aspetti di un Clinical Evaluation Report (CER): cos’è, perché è necessario, una panoramica del processo di ricerca e i suoi contenuti.

Che tu sia un piccolo produttore di dispositivi che deve commercializzare il suo primo prodotto o una multinazionale che sta lavorando a nuove caratteristiche del proprio dispositivo, la creazione e il mantenimento di un CER può essere un compito complesso e che richiede molte risorse.

Cos’è il CER?

Il CER, ovvero il Rapporto di Valutazione Clinica, è una parte importante del fascicolo tecnico ed è richiesto per tutti i dispositivi medici, indipendentemente dalla loro classificazione.
La valutazione clinica è la valutazione e l’analisi dei dati clinici generati dall’uso di un dispositivo relativi alla sua sicurezza ed efficacia.
I dati clinici posso derivare da ricerche condotte dalla tua azienda o dall’analisi della letteratura.

Ci sono diverse banche dati pubbliche in cui è possibile ricercare dati clinici:

  • Medline
  • Cochrane Collaboration
  • PubMed

Dunque il CER è un’analisi dei dati clinici raccolti da clinical investigation (studi sull’uomo condotti per verificare sicurezza ed efficacia di un dispositivo) o da studi condotti su dispositivi equivalenti.

La valutazione clinica si compone di 3 step:

  1. Il produttore identifica i dati clinici (da letteratura, esperienza clinica, trial clinici)
  2. I dati vengono esaminati per determinarne la rilevanza, l’applicabilità, la qualità e l’importanza
  3. Si stila un report, il CER, che elenca le conclusioni relative all’analisi dei dati clinici

Quali sono i requisiti per redigere un CER secondo MDR?

Prima di ottenere il marchio CE per commercializzare i propri prodotti sul mercato EU, i produttori di dispositivi medici devono provare all’Autorità Competente che il proprio dispositivo rispetti gli standard di qualità e performance.

Già la MDD (Direttiva 90/385/EEC e 93/42/EEC) richiedeva ai produttori di eseguire una valutazione clinica dei propri dispositivi per accertarne la sicurezza e l’efficacia.
L’MDR impone nuovi requisiti ancora più severi per i rapporti di valutazione clinica.

L’articolo 61 della MDR stabilisce che la valutazione clinica di ogni dispositivo medico debba essere documentata in un CER che debba far parte della documentazione tecnica del dispositivo.
L’allegato XIV della MDR, parte A, amplia questo requisito e fornisce requisiti dettagliati per l’esecuzione di una valutazione clinica, richiedendo che il processo:

  • si basi su un piano di valutazione clinica (CEP) documentato
  • identifichi tutte le evidenze cliniche rilevanti per il dispositivo, siano esse favorevoli o meno
  • valuti e analizzi i dati clinici in modo robusto secondo un protocollo dichiarato
  • stabilisca un piano per affrontare eventuali lacune nell’insieme di evidenze cliniche
  • giunga a conclusioni sulla sicurezza e sulle prestazioni del dispositivo medico

Come strutturare un CER?

Poiché un rapporto di valutazione clinica adeguatamente strutturato è un requisito fondamentale per l’approvazione regolatoria ai sensi del MDR, è importante che i produttori abbiano accesso a un redattore di CER con conoscenze e competenze sufficienti per soddisfare i requisiti della MDR.

Sebbene l’Allegato XIV, Parte A, illustri le modalità di esecuzione di una valutazione clinica, è relativamente scarno di requisiti per la redazione.
Una guida più dettagliata sulla stesura del CER è contenuta nella MedDev 2.7/1 rev 4 “Clinical Evaluation: A guide for manufacturers and notified bodies“, un documento consultivo pubblicato dalla Commissione Europea.
Il documento contiene un’utile sezione sulla struttura dei CER, ma la linea guida non è stata ancora aggiornata per riflettere le modifiche ai requisiti introdotte dalla MDR. Per questo motivo, la sola adesione alla MedDev 2.7/1 rev. 4 non è sufficiente ad ottenere la conformità alla MDR e i produttori dovranno utilizzare ulteriori fonti di informazione e competenze per garantire che i requisiti siano soddisfatti.

Secondo la MedDev 2.7/1 rev. 4, un rapporto di valutazione clinica di un dispositivo medico deve includere almeno le seguenti informazioni:

  • informazioni sul dispositivo medico
  • una revisione del campo clinico in cui si colloca il dispositivo, compresi i trattamenti alternativi a disposizione e una valutazione dello stato dell’arte
  • dati clinici valutati relativi al dispositivo e alle sue prestazioni cliniche
  • i risultati delle attività di sorveglianza post-market (PMS), del sistema di vigilanza e del follow-up clinico post-market (PMCF)
  • una valutazione dei benefici e dei rischi
  • una conclusione oggettiva sulla conformità del dispositivo ai requisiti generali di sicurezza e prestazione (GSPR) di cui all’allegato I della MDR e sulla sua idoneità allo scopo previsto.

Ogni sezione deve essere strutturata con attenzione e scritta con precisione per garantire che il documento possa essere compreso da un valutatore che potrebbe non avere una conoscenza specialistica del dispositivo medico.

L’ideale sarebbe che i CER fossero redatti da una persona con un grado di esperienza medica, scientifica e normativa sufficiente a soddisfare questi requisiti.

Dopo la pubblicazione della MedDev 2.7/1 rev 4, il Medical Device Coordination Group (MDCG) ha pubblicato ulteriori linee guida, tra cui la MDCG 2020-13, che stabilisce i criteri in base ai quali i rapporti di valutazione clinica dei dispositivi medici saranno valutati nell’ambito del MDR, tra cui:

  • l’obbligo di analizzare le evidenze cliniche relative a dispositivi alternativi comparabili, al fine di determinare parametri di riferimento quantificabili per la sicurezza e le prestazioni rispetto ai quali valutare il dispositivo
  • includere una sintesi del piano di valutazione clinica nel CER
  • ove possibile, effettuare un’analisi statistica delle evidenze cliniche considerate nel CER
  • restrizioni sull’uso dell’equivalenza dei dispositivi medici
  • dettagli su come dimostrare il beneficio clinico durante la profilazione del rischio-beneficio, compresa la necessità che i presunti benefici siano quantificabili e basati su prove di efficacia.

Secondo l’MDR dell’UE, un rapporto di valutazione clinica deve presentare un’analisi scientifica solida e obiettiva delle evidenze cliniche. Il linguaggio utilizzato da chi redige un CER deve trasmettere una valutazione equilibrata della sicurezza e delle prestazioni del dispositivo, tale da soddisfare le esigenze del controllo normativo.

Evidenze cliniche nel CER

L’identificazione, la valutazione e l’analisi delle evidenze cliniche sono un requisito fondamentale per la stesura di una CER ai sensi del MDR. Le evidenze cliniche sono considerate in due componenti chiave del CER:

  1. in relazione a dispositivi alternativi comparabili, al fine di stabilire parametri di riferimento per la sicurezza e le prestazioni rispetto ai quali il dispositivo in esame può essere confrontato
  2. nella valutazione della sicurezza e delle prestazioni del dispositivo in esame.

Tutte le prove cliniche pertinenti devono essere identificate, sia favorevoli che sfavorevoli, e devono essere valutate e analizzate secondo un protocollo specificato nel piano di valutazione clinica (CEP). Devono inoltre essere previste procedure specifiche per evitare la duplicazione dei dati.

Le evidenze cliniche relative al dispositivo in questione provengono da due fonti: quelle generate e detenute dal produttore e quelle prodotte in modo indipendente e pubblicate in letteratura.

  • Le evidenze generate dal fabbricante comprendono quelle derivanti da studi pre-market, PMS, Vigilanza e attività PMCF.
  • Le evidenze indipendenti devono essere identificate attraverso un protocollo di ricerca robusto e documentato, che contenga disposizioni per garantire la ricerca di tutte le evidenze rilevanti nelle banche dati.

La valutazione delle evidenze comporta la considerazione di fattori quali:

  • l’adeguatezza del metodo e della dimensione del campione
  • rilevanza per il dispositivo in questione e la sua valutazione clinica
  • tipo e qualità dello studio
  • potenziale di distorsione
  • adeguatezza delle tecniche di analisi statistica utilizzate

Dopo l’identificazione e la valutazione, il CER deve contenere un’analisi delle evidenze cliniche per determinare se il dispositivo in questione ha soddisfatto gli obblighi di sicurezza e prestazioni previsti dalla MDR (anche rispetto a dispositivi alternativi comparabili).

La stesura efficace di un CER richiede l’accesso a competenze di alto livello nell’identificazione, nella valutazione e nell’analisi delle evidenze cliniche.

Dopo la compilazione

Una volta completato, un CER sarà valutato come componente dei documenti tecnici che devono essere presentati a sostegno del dispositivo. La procedura di valutazione del CER dipende dalla classificazione di rischio del dispositivo.

In base a MDR, i fabbricanti di dispositivi medici di classe IIa, IIb e III devono sottoporre il CER compilato a un Organismo Notificato per un controllo normativo come componente di una procedura di valutazione della conformità. L’autorizzazione ad apporre il marchio CE non sarà concessa se il rapporto di valutazione clinica non soddisfa i requisiti MDR.

L’MDR delinea le responsabilità degli Organismi Notificati nell’esecuzione delle valutazioni dei CER, richiedendo agli Organismi Notificati di avere accesso a persone con competenze scientifiche e tecniche sufficienti per effettuare una valutazione razionale dei report. La valutazione dei rapporti di valutazione clinica seguirà quanto indicato nella MDCG 2020-13.

I fabbricanti di dispositivi di classe I non hanno normalmente bisogno di presentare CER a un Organismo Notificato per la valutazione. Tuttavia, un dispositivo di classe I è ancora soggetto ai requisiti MDR per l’esecuzione di una valutazione clinica, in quanto deve dimostrare la conformità alle GSPR dell’Allegato I, l’idoneità allo scopo previsto e un profilo beneficio-rischio accettabile. Pertanto, la relazione di valutazione clinica è ancora richiesta e deve essere redatta con un grado di cura e competenza simile a quello richiesto per i dispositivi a rischio più elevato.

Inoltre, alcune categorie di dispositivi di classe I hanno requisiti speciali che possono richiedere una valutazione da parte di un Organismo Notificato. I dispositivi di classe I che vengono forniti sterili (classe Is), che sono dispositivi chirurgici riutilizzabili o che hanno una funzione di misurazione (classe Im) richiederanno il coinvolgimento di un Organismo Notificato.

Molti produttori commettono l’errore di stilare il CER e dimenticarselo; il CER è un documento “vivo” che deve essere tenuto aggiornato con i feedback dei consumatori e i report di eventi avversi come parte della sorveglianza post-market. Ogni cambiamento che impatta i dati iniziali deve essere tenuto in considerazione e il CER deve essere aggiornato di conseguenza.


Fonte:

Clinical Evaluation ReportsCERs for medical devices. An introduction to effective Clinical Evaluation Report writing for regulatory compliance

Le criticità nel campionamento swab in cleaning validation

Nella cleaning validation si utilizzano solitamente due tecniche di campionamento: il rinse test e lo swab test.

Lo swab è un metodo di campionamento diretto delle superfici, mentre il rinse è un metodo indiretto. In pratica, l’accesso fisico alle superfici e alle parti dell’apparecchiatura da pulire tende a determinare la scelta del metodo di campionamento. Ad esempio, lo swab funziona particolarmente bene in aree di lavoro più ristrette, come isolatori, cabine di sicurezza biologica (BSC), sistemi di barriere ad accesso limitato (RABS), ampie superfici di lavoro e angoli accessibili delle apparecchiature, tutti luoghi che si trovano di norma entro un metro da un’apertura per l’accessibilità al campionamento.
Il rinse è più indicato per tubazioni, flessibili e serbatoi di grandi dimensioni, luoghi non facilmente raggiungibili.
L’uso degli swab è fondamentale per determinare il livello di contaminazione presente intorno alle imperfezioni delle apparecchiature di produzione, come superfici ruvide, punti di saldatura, possibili fessure o in punti che il risciacquo non può raggiungere facilmente.
In generale, per ottenere una valutazione più completa delle superfici pulite, è consigliabile una combinazione di campionamento con swab e rinse

Il campionamento con tampone misura direttamente i residui superficiali ed è quello privilegiato. Gli aspetti critici del campionamento con swab riguardano la selezione del tampone e la tecnica impiegata. Anche la formazione del personale sugli aspetti tecnici e sulle effettive modalità di campionamento sono aspetti da non sottovalutare.
Prendiamo in esame lo swab test e le sue criticità.

In generale, è possibile utilizzare lo swab per il rilevamento di residui chimici o microbiologici. Di norma il recovery degli swab microbiologici è inferiore se comparato alle piastre di agar per il campionamento delle superfici, dunque prenderemo in esame solo lo swab per il rilevamento dei residui chimici (residui di prodotto o di detergente).

Step critici durante lo swab testing

Il processo di campionamento con swab prevede due fasi critiche che devono essere ottimizzate tenendo conto dei materiali di superficie e dei residui:

  • Step 1: prelevare i residui dalla superficie in contatto con il prodotto utilizzando la testa del tampone.
  • Step 2: trasferire i residui dalla testa del tampone alla soluzione di estrazione.

Il tampone

Oltre alla tecnica di campionamento, il materiale di cui è composto il tampone è fondamentale. I tamponi in cotone non rappresentano più lo stato dell’arte perchè possono rilasciare particelle sulla superficie di contatto con il prodotto, rompersi durante il processo di campionamento (indipendentemente dalla tecnica utilizzata) o non rilasciare i residui nella soluzione di estrazione.

I tamponi moderni sono fatti di un materiale abrasivo che, oltre a sciogliere i residui grazie ad una testa inumidita, li rimuovono meccanicamente dalle superfici. In questo caso è importante esercitare una corretta pressione sulla superficie, che può essere effettuata agevolmente poichè il tampone si flette leggermente se sottoposto a pressione.

Il tampone da utilizzare per il campionamento viene in genere pre-bagnato con acqua o un altro solvente appropriato per rimuovere i residui dalla superficie da campionare. Premendo i lati del tampone contro l’interno del flacone prima del campionamento, si rimuove il solvente in eccesso. Questo è importante perché il solvente in eccesso può essere esso stesso una fonte di residui che porta a risultati variabili. L’eccesso di solventi può lasciare sulla superficie sostanze estraibili che riducono la percentuale di recovery o indicano un falso positivo. Esiste un’interazione fisica diretta tra il tampone, il solvente, la superficie e i residui da rimuovere; pertanto, la scelta del tampone è fondamentale per l’efficacia del processo di campionamento.

Il campionamento

In generale, sono preferibili le superfici quadrate campionate secondo uno schema ben preciso.
Per garantire un’area di campionamento corretta, è consigliabile passare il tampone con movimenti paralleli e sovrapposti prima orizzontali e poi verticali e campionare almeno la superficie specificata. Una maggiore superficie tamponata garantisce che non venga generato un risultato falsamente basso a causa di una minore superficie esaminata.

Inoltre, dopo i processi di pulizia a moderate/alte temperature e dopo la fase di asciugatura, la superficie dell’apparecchiatura deve raffreddarsi a temperatura ambiente prima di procedere con lo swab test.

La soluzione di estrazione

A seconda della tecnica del tampone, il trasferimento dei residui avviene in sequenza nello step 2. Qui lo swab viene fatto girare nella soluzione di estrazione e lasciato lì fino all’analisi. E’ possibile ottenere un’estrazione migliore utilizzando un agitatore o un bagno a ultrasuoni.

Scegliendo opportunamente la soluzione di estrazione è inoltre possibile ottenere un recupero migliore, sfruttando il potere solvente della stessa sui residui da rimuovere ma questo dipende principalmente dal tipo e dalle condizioni del residuo che si sta analizzando.
E’ importante tenere in considerazione che la stessa soluzione di estrazione dovrebbe essere facilmente pulibile e non interferire con l’analisi.

La formazione degli operatori

Il campionamento con swab è un’attività critica. Prima dell’implementazione dei protocolli di convalida della pulizia gli operatori devono essere adeguatamente formati per ridurre al minimo la soggettività insita in questa attività di campionamento manuale. Le direzioni e i movimenti raccomandati per l’effettiva esecuzione del tampone su un’area devono essere dettagliati nella formazione per garantire i massimi livelli di coerenza. La formazione deve essere documentata. L’addestramento deve essere effettuato con la frequenza necessaria affinché la procedura di campionamento mantenga la sua ripetibilità e riproducibilità.


Il parere del nostro esperto
Dr.ssa Anna Bertolotti, GxP Compliance Expert

Considerate le criticità intrinseche della tecnica di campionamento mediante swab, è sicuramente fondamentale scegliere i tamponi accuratamente, raccogliendo informazioni e suggerimenti dal fornitore e valutandoli attentamente in fase di messa a punto e convalida del metodo: spesso gli swab possono dare interferenze durante l’analisi, interferenze che possono aumentare notevolmente con l’allungarsi del tempo in cui il tampone resta in soluzione. E’ pertanto importante estrarre gli swab dalla soluzione appena possibile e valutare preventivamente anche la stabilità dei residui in soluzione.

Altra criticità del campionamento mediante swab sono le numerose variabili dovute all’attività manuale dell’operatore, al grado di pressione esercitato, al fatto che non sempre i punti di campionamento sono facilmente accessibili. Inoltre l’operatore potrebbe avere difficoltà a coprire agevolmente la superficie da campionare e/o a ripetere il campionamento della stessa più volte, sempre nello stesso modo; si tenga presente infatti che in alcuni casi, proprio per migliorare la percentuale di recupero del residuo, si prevedono più passaggi in verticale e più passaggi in orizzontale. E’ quindi fondamentale curare la formazione delle persone che effettuano il campionamento, soprattutto tramite training on the job e verifiche periodiche, nonché identificare accuratamente i punti di campionamento mediante foto e/o disegni delle relative porzioni di impianti.


Q&A Audit Report 2022: le non conformità più comuni

Il 24 febbraio Marta Carboniero, GxP Compliance Expert di Adeodata, ha tenuto un free webinar sulle non conformità più diffuse rilevate in fase di audit dai nostri esperti “Audit Report 2022: le non conformità più comuni”. Ecco le risposte a tutte le domande che sono state poste dai partecipanti durante l’incontro.

1. È realistico che l’investigazione di una deviazione si completi in 3 giorni lavorativi?

Dipende dalla deviazione, è possibile che sia completata in due/tre giorni lavorativi oppure che ce ne vogliano 30.
Quello che è importante, nella gestione di una deviazione è verificare in tempistiche celeri (1-2 giorni) l’impatto della stessa e attuare eventuali trattamenti o correzioni, in modo da isolare il problema. A seconda del grado dell’impatto e quindi della relativa classificazione, si può poi procedere all’indagine in tempi diversi.

2. Formazione auditor: è più corretto che l’auditor in training esegua due audit da osservatore + un audit da lead auditor, oppure tre audit da osservatore?

Le GMP/GDP non indicano espressamente quanti audit in affiancamento è più corretto fare, però la pratica più comune prevede tre audit in affiancamento (variando i reparti) e un audit come lead. 

3. La non apertura delle CAPA per le eventuali raccomandazioni, non rischia che se ne perda traccia?

Le raccomandazioni, proprio per loro natura, possono non essere accettate dall’auditato, soprattutto se questo è indicato espressamente nel report, pertanto il fatto di perderne traccia non dovrebbe costituire una mancanza GMP.

4. In generale, se i criteri di riferimento sono gli stessi (es. GDP), un auditor interno può svolgere anche audit di seconda parte?

Se i criteri sono gli stessi, generalmente un auditor interno effettua anche audit di seconda parte, attenzione: nel caso in cui le SOP interne (quella delle self inspection e quella degli audit esterni) differiscano, ci vuole almeno il training per entrambe. Suggerisco comunque, in questo caso, di effettuare almeno un audit di seconda parte in affiancamento (es. due interni e uno esterno) 

5. Vorrei sapere se la mancata possibilità di rilasciare il tracciato delle temperature a cui è stata sottoposta la merce durante il trasporto può essere inquadrata come non conformità minore?

La mancata possibilità di rilasciare tracciato può costituire deviazione minore o maggiore a seconda dei casi: ad esempio una merce sotto cold chain che viaggia a luglio in territorio Italiano costituisce una criticità maggiore rispetto ad una merce 15-25°C che viaggia in primavera. Dipende dai casi, per valutare la classificazione, bisogna valutare caso per caso. A mio parere è comunque una deviazione.

6. Relativamente alla seguente NC: “Process Validation: PQ requires a minimum of 3 consecutive batches, but the number of batches must be justified” non ho compreso se:
– occorre giustificare perchè ho scelto 3 lotti oppure
– occorre giustificare il fatto che non siano stati scelti 3 lotti

La deviazione era dovuta al fatto che l’auditor si aspettava che la scelta di tre lotti in PQ fosse motivata e non lo era. Personalmente posso aggiungere che, in accordo all’Annex 15, questa poteva anche non essere una deviazione, magari una raccomandazione. Contestualizzando, la deviazione è stata assegnata ad una ditta indiana e l’auditor era indiano, pertanto è possibile che la loro prassi nell’applicazione delle EuGMP preveda una giustificazione. Era comunque una minore. 

7. Riguardo gli OOS, un ispettore ci ha suggerito di inserire la QP invece che QA in quanto il QA non ha necessariamente conoscenza del laboratorio mentre la QP per definizione deve averla (almeno secondo le attuali normative.) E’ necessario inserire nell’indagine di laboratorio il QA anche se c’è comunque la QP?

Bisognerebbe capire bene in quale fase della gestione OOS era previsto il coinvolgimento del QA.
Mi spiego: solitamente QA non interviene nell’indagine di OOS nelle sue prime fasi (IA e IB), in quanto sono indagini di laboratorio.
Necessariamente interviene invece nella fase II, nel caso ci fosse quindi coinvolgimento di reparti produttivi.
La QP firma come chiusura/approvazione/giudizio finale OOS.
Secondo il mio parere, non era necessario il coinvolgimento del QA nella fase di indagine di laboratorio, se è a quella che ci stiamo riferendo, personalmente lo escluderei a priori.

8. Per la formazione del personale, ad esempio il training legato alla revisione di una SOP, può essere sufficiente formalizzare il training sul form dedicato alla registrazione dei training oppure è necessario allegare un’evidenza dell’avvenuta formazione, ovvero un questionario di verifica apprendimento o un email in cui vengono spiegate le modifiche della SOP in revisione?  

Dipende da quali sono le modifiche al documento: se è una modifica formale (es. cambio layout) senza modifiche operative, va bene la formalizzazione su form dedicato.
Nel caso invece in cui le modifiche siano sostanziali (es. cambio operatività), è preferibile effettuare una prova di valutazione (es. questionario).
Escluderei invece gli scambi di mail per documentare una formazione. 

9. Come deve essere strutturato un modulo di avvenuta formazione per essere considerato completo?

Un modulo di avvenuta formazione deve riportare al minimo: data di formazione e durata, argomento (titolo e breve descrizione), formatore e personale formato (nome-firma-data ), esito.

10. Document & Record Retention: è accettabile archivio unicamente cartaceo per coc/ coa da fornitore per raw material di packaging secondario? Ci sono differenze tra requisiti Eudralex e ISO13485?

Sì, è accettabile per entrambe (ISO/GMP); se si rispettano i corrispondenti requisiti, non dovrebbero esserci controindicazioni a livello normativo; è pur vero che, probabilmente, un ipotetico ispettore spingerà per una gestione elettronica, come stanno già facendo in molti casi.

11. Controllo delle condizioni di trasporto raw material in incoming: è accettabile affidare la responsabilità al supplier definendolo in apposito quality agreement? Oppure il produttore del prodotto finito deve mantenere supervisione delle condizioni di trasporto (es. verifica data logger, mantenimento validazione trasporto)? È accettabile mantenere la supervisione non per singolo lotto ma in occasione di audit a supplier?

E’ possibile definire in un QTA chi ha la responsabilità di assicurare che il trasporto avvenga in condizioni controllate e chi debba effettuare convalida (es. supplier). All’arrivo della merce è però sempre richiesta una verifica da parte della sede ricevente, che, si suppone, sia anche l’utilizzatore della stessa (controllo identità, integrità, temperatura soprattutto in caso di cold chain, verifica del mezzo etc…).La convalida di trasporto e successive può essere verificata in sede di audit al supplier.

12. Formazione internal auditor: pur avendo ben definito e documentato training teorici e on the job per qualifica di auditor, è generalmente richiesta prova di esperienza sulla specifica area auditata? Oppure la formazione generale può abilitare l’auditor all’ispezione di qualsiasi area aziendale?

Per la qualifica di un auditor non basta solo la formazione, è necessario considerare altri fattori, ad esempio il grado di istruzione, l’esperienza e il campo lavorativo.
Es. Se un collega ha lavorato in passato X anni in QC, è possibile bypassare la prova di esperienza su QC, basandosi sulle sue conoscenze ed esperienze passate. Se mi trovo invece di fronte ad un collega neolaureato o neodiplomato, una prova pratica su ciascuna area potrebbe essere richiesta.

13. C’è una differenza specifica tra DEVIAZIONE e NON CONFORMITA’?

Tendenzialmente non c’è differenza, a meno che, all’interno delle vostre procedure aziendali, vogliate differenziare i due aspetti.
Es. deviazione per ragioni commerciali/marketing, NC per anomalie GMP, ma è una scelta interna, nella maggior parte dei casi non c’è differenza. Specificatelo in procedura. 

14. Periodic review dell’infrastruttura IT e Restore hanno una frequenza da rispettare nell’anno?

Non ci sono frequenze predefinite, decide l’azione regolata sulla base di un’analisi dei rischi. Di solito la revisione viene fatta annualmente o ogni due anni.

15. Qual è il miglior tool in sostituzione all’Excel per la gestione degli elenchi?

Ce ne sono di diverso tipo, la scelta dipende dall’utilizzo che se ne vuole fare e dalla verifica della loro compliance GMP, ne cito qualcuno a solo titolo esemplificativo. Ripeto, è da valutare l’eventuale applicabilità ai requisiti GMP.

  • I sistemi EDMS e QMS (come Adiuto) per la gestione di elenchi relativi a change, deviazioni etc…
  • Sharepoint, ad esempio attraverso l’applicazione “lists”, anche se Sharepoint continua ad avere alcune limitazioni relativamente alla compliance.
  • Sistemi che supportano la gestione di anagrafiche e scadenziario (ad esempio manutenzione di equipment) che possono essere adattati per gestire altri elenchi.

16. Cosa intendete per tool di infrastruttura? (la deviazione era: I tool di infrastruttura non sono qualificati né sono oggetto di SOP/WI ufficiali)

I SW tool di infrastruttura includono quei tool come i SW per il monitoraggio della rete, i tool per la schedulazione dei job, i SW di sicurezza, gli antivirus, e i tool per la gestione della configurazione (GAMP5 ed.2 Appendix M4 §12.3.4).

17. Ambito GMP dove si è fatta la mappatura iniziale del magazzino che ha un sistema computerizzato convalidato di monitoraggio e controllo, la mancanza della mappatura periodica come si potrebbe considerare?

Bisogna fare riferimento alla linea guida WHO No. 961, 2011, che definisce che la mappatura deve essere ripetuta con una certa periodicità per valutare la compliance: in generale si prevede una ripetizione della mappatura ogni 3-massimo 5 anni; nella maggior parte dei casi per le camere fredde anche ogni anno; suggerirei di operare con risk assessment.

Si tratta di una linea guida, le EuGMP sono un po’ scarne da questo punto di vista, però è riconosciuta per mappature sia di magazzini che incubatori ecc., in generale potrebbe essere una deviazione minore, per camere fredde anche maggiore se non ripetuta da parecchi anni. 


18. Per la qualifica di sedi corporate, se si definisce in procedura che ha una criticità minore rispetto ai criteri di qualifica degli altri fornitori, può essere valido?

Non è possibile rispondere in maniera univoca a questa domanda: dipende dall’attività o dal prodotto che la sede corporate fa. Se, dall’analisi/risk analysis effettuata all’interno della vostra sede, la sede corporate risulta a basso impatto ok, ma deve essere evidenziato e dimostrato, non può essere preso di default (es. se la sede corporate effettuata per mio conto una sterilizzazione di prodotto, non può essere considerata a bassa criticità, anche se è una sede del gruppo).

19. Come gestire i sistemi non GMP ma sicuramente impattanti la ISO9001?

La 9001 non necessita convalida software, per cui potrebbero essere sufficienti i controlli inziali, che solitamente fa l’installatore e i controlli periodici di manutenzione del sistema.
Non mi aspetto una convalida in compliance con Annex 11 e simili.

20. Cosa si intende per “fogli con pochi dettagli” nelle evidenze della formazione? Cosa mancava? 

Le evidenze della formazione devono, al minimo, riportare titolo e breve descrizione della formazione, nome del trainer e del personale sottoposto alla sessione, data della sessione con giorno, ora e durata, firme e date sia del formatore che del personale, esito. In questo caso mancava la durata, l’esito e la firma del formatore.


Articolo a cura di
Marta Carboniero
GxP Compliance Expert, Adeodata srl

Requisiti per le QP nei diversi Stati Membri

Un sondaggio svolto tra i membri dell’EQPA (European QP Association) si è concentrato sul percorso professionale per diventare QP. La grande partecipazione ha permesso di ottenere una grande quantità di dati da analizzare.

I requisiti di qualificazione per diventare QP sono uno degli argomenti più discussi nel settore, ma finora mancava una buona panoramica di come i requisiti legali, definiti nell’articolo 49 della direttiva 2001/83/CE e nell’articolo 53 della 2001/82/CE, siano stati recepiti e attuati a livello nazionale.

I partecipanti al sondaggio hanno fornito un forte feedback, con molti commenti su come le diverse misure nazionali si discostano o si aggiungono alla direttiva 2001/83/CE artt. 48-51, o alla direttiva 2001/82/CE artt. 52-54. Le risposte provengono da quasi tutti gli Stati membri dell’UE nonché da Svizzera, Israele e Regno Unito.

Le QP devono essere qualificate da una formazione di livello universitario (direttiva 2001/83/CE art. 49.2 o direttiva 2001/82/CE art. 53.2) e dimostrare un’esperienza pratica minima definita (direttiva 2001/83/CE art. 49.3 o direttiva 2001/82/CE art. 53.3 ).


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Requisiti formativi

La Direttiva 2001/83/CE all’articolo 49.2 definisce i requisiti formativi per diventare QP. Il paragrafo cerca di riflettere l’immensa varietà di programmi di formazione esistenti nell’UE.

“A qualified person shall be in possession of a diploma, certificate or other evidence of formal qualifications awarded on completion of a university course of study, or a course recognized as equivalent by the Member State concerned, extending over a period of at least four years of theoretical and practical study in one of the following scientific disciplines: pharmacy, medicine, veterinary medicine, chemistry, pharmaceutical chemistry and technology, biology. However, the minimum duration of the university course may be three and a half years where the course is followed by a period of theoretical and practical training of a minimum duration of one year and including a training period of at least six months in a pharmacy open to the public, corroborated by an examination at university level. Where two university courses or two courses recognized by the State as equivalent co-exist in a Member State and where one of these extends over four years and the other over three years, the three-year course leading to a diploma, certificate or other evidence of formal qualifications awarded on completion of a university course or its recognized equivalent shall be considered to fulfil the condition of duration referred to in the second subparagraph in so far as the diplomas, certificates or other evidence of formal qualifications awarded on completion of both courses are recognized as equivalent by the State in question.”

Directive 2001/83/EC Article 49.2.

Un po’ complicato, ma vediamo come funziona nei diversi Stati membri.

Le diverse materie che devono essere trattate nel corso universitario sono elencate nel paragrafo successivo dell’articolo. In sintesi, le materie sembrano essere tratte dal piano di studi di farmacia. Sorprendentemente, non vengono definite misure quantitative come il numero minimo di ore di lezione per ogni materia, e quindi gli Stati membri sono liberi di divergere.

Tabella 1: Paesi inclusi nell’analisi

Secondo la direttiva, dopo il conseguimento di un titolo universitario accettabile, il candidato QP deve dimostrare di aver acquisito un’esperienza pratica ai sensi dell’articolo 49.3:

“3. The qualified person shall have acquired practical experience over at least two years, in one or more undertakings which are authorized to manufacture medicinal products, in the activities of qualitative analysis of medicinal products, of quantitative analysis of active substances and of the testing and checking necessary to ensure the quality of medicinal products.”

I requisiti possono essere riassunti come una combinazione di

  1. Un diploma universitario in un’ampia gamma di scienze naturali, di norma della durata di quattro anni ma, se considerato equivalente a livello nazionale, della durata minima di tre anni;
  2. Da sei mesi a due anni di esperienza pratica nel controllo di qualità, in funzione della durata degli studi teorici;
  3. L’esperienza pratica deve essere acquisita presso un’azienda autorizzata alla produzione di medicinali.

Confrontiamo questi tre requisiti con il feedback delle QP.

Nelle discussioni con i rappresentanti dell’industria, spesso si sostiene che solo un farmacista può essere accettato come QP, limitando così la disponibilità di un numero sufficiente di QP. Nonostante questa impressione, quasi tutti gli Stati membri accettano in realtà i vari tipi di formazione universitaria.
Molti Paesi accettano addirittura più di quanto la direttiva sembri consentire, come le lauree in biotecnologia, scienze mediche e ingegneria ambientale o chimica.
Il Portogallo e la Francia sono gli unici Stati membri dell’UE che, insieme alla Norvegia e a Israele, due Paesi associati, limitano i requisiti educativi delle QP a un diploma in farmacia. Nel caso del Portogallo è richiesto un corso aggiuntivo e la certificazione di Specialista in Industria Farmaceutica rilasciata dall’Associazione professionale “Pharmaceutical Industry College“.

Tabella 2: Diplomi e lauree accettati per Paese

Solo una minoranza di Paesi ha istituito corsi di formazione ufficiali volti a colmare le lacune in termini di materie, come indicato dall’ombreggiatura blu nella tabella 2. In tutti gli altri Paesi, il compito di colmare le lacune formative è lasciato al candidato, che viene poi valutato su base individuale.

È interessante notare che la maggior parte dei Paesi consente di conseguire titoli universitari di base al di fuori della gamma elencata nella direttiva, come indicato al di sotto della linea blu nella tabella 2. Questi Paesi presumibilmente valutano i contenuti del curriculum piuttosto che il titolo di studio.

Formalmente, nella maggior parte dei Paesi, i farmacisti e i colleghi con una formazione in scienze naturali possono assumere il ruolo di QP. La questione è, in pratica, quanto sia aperto l’accesso al ruolo di QP per coloro che hanno un’altra formazione scientifica.
La Figura 1 mostra come le QP hanno risposto in merito a quali titoli di studio hanno permesso loro di qualificarsi.

Figura 1: Quota di QP con formazione in farmacia per Paese

Si può facilmente concludere che tutto è possibile nella realtà, anche se, non a caso, vediamo la quota del 100% di farmacisti in Francia e Portogallo, avendo già stabilito che solo i farmacisti possono diventare QP in quei Paesi.
Alcuni Paesi hanno una quota di farmacisti pari o superiore al 70%.
D’altro canto, le risposte di Irlanda, Regno Unito e Svizzera mostrano che solo una minoranza di QP basa la propria formazione su una laurea in farmacia.
Complessivamente, la ripartizione è più o meno 50:50 in tutta l’UE.

Supponendo che tutti questi sistemi funzionino e che tutte le QP siano preparate e competenti, potremmo essere sorpresi dalla variabilità tra i Paesi sulla base di un’unica definizione contenuta nella direttiva.

Lunghezza degli studi universitari

Il criterio successivo definito nell’articolo 49 è la durata minima degli studi universitari per diventare QP. Secondo il feedback, i Paesi gestiscono questo requisito in modo molto diverso.

Sebbene la direttiva stabilisca che quattro anni sono il periodo minimo di formazione universitaria previsto e che periodi più brevi possono costituire un’eccezione, diversi Paesi fissano l’aspettativa minima a tre anni di studio. All’estremo opposto, in Francia gli studi farmaceutici durano 6 anni e, poiché per diventare QP si accetta solo farmacia, la durata minima degli studi universitari diventa di default di 6 anni.

Periodo minimo di formazione universitaria in anniStato
3IE, (IT), NL, PL, SL, UK
3,5(DK), LV, (NL), RO
4BE, BG, CY, DE, DK, ES, FI, GR, HU, IS, IT, SE
5AT, CH, CR, CZ, MT, NO, PT
6FR
Tabella 3: Durata minima degli studi universitari richiesta

Esperienza pratica

Gli studi universitari soddisfano solo una parte dei requisiti per diventare QP. È necessaria anche un’esperienza pratica all’interno di un’organizzazione di produttori. L’indagine ha cercato di capire come viene gestita nei diversi Stati membri (vedi Tabella 4).

Come dimostrare l’esperienza praticaStato
A. L’esperienza pratica non deve essere dimostrata in una o più aziende autorizzate alla produzione di medicinali.NL, BE, DK, PO, RO,
AT, DE, HU, IT, UK,
MT, ES
B. L’esperienza pratica è strettamente limitata alle attività di laboratorio del QC.DK, AT, DE, IT, CZ, PL, FR, UK, RO, SL, ES,
LV, GR, BG, MT
C. Le attività di assicurazione della qualità possono sostituire (in tutto o in parte) le attività di laboratorio QC.DK, NL, PT, FI, GR, CH, ES, UK, MT, SE,
IE, RO, FR, DE
D. Le attività di assicurazione della qualità possono sostituire le attività di laboratorio QC (solo in parte).PT, DE, FI, UK, HU, IE, LV, NL, CR, CY, RO,
AT, BG, CZ, MT, DK
E. Le attività di produzione possono sostituire le attività di laboratorio QC.ES, PT, FI, NL, UK, RO, BG, IT, GR, CH, MT,
CR, UK, DE, BG, CY, DK, CZ, BE, IE
F. Sono accettate altre attività per dimostrare l’esperienza pratica.CH, UK, PT, ES, NL, DK, DE, RO, CR, IE, IT,
FR, NO, BE
Tabella 4: Esperienze pratiche accettate per Paese (un Paese può essere citato più di una volta)

Probabilmente, l’interpretazione letterale della direttiva 2001/83 è che solo la scelta B soddisfa i requisiti, a condizione che l’esperienza sia stata acquisita presso un produttore autorizzato.
Il testo della direttiva recita:

“… practical experience over at least two years, in one or more undertakings which are authorized to manufacture medicinal products, in the activities of qualitative analysis of medicinal products, of quantitative analysis and of the testing and checking necessary to ensure the quality of medicinal products….”

Il feedback mostra che, almeno secondo la percezione delle QP, praticamente ogni Paese ha interpretato questo paragrafo in modo flessibile.

L’EQPA sostiene da molti anni che l’esperienza pratica dovrebbe essere definita in modo molto più ampio rispetto al solo Controllo Qualità, e dovrebbe essere una combinazione appropriata di esperienza in diverse aree. È molto interessante vedere che in pratica molti Paesi lo fanno già e includono l’esperienza nella produzione (> 27% di tutte le risposte). Ciò non avviene in tutti i Paesi e sembra discostarsi notevolmente dalla formulazione del requisito. Solo il 39% delle risposte conferma che è accettabile la sola esperienza di QC presso un Titolare di Autorizzazione all’immissione in commercio e all’importazione. I Paesi che si discostano meno dalla formulazione della direttiva sono Austria, Italia, Germania, Francia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Lettonia.

Ulteriori passi da intraprendere ed esperienze pratiche più brevi in relazione alla durata degli studi

La direttiva non prevede che gli Stati membri istituiscano corsi certificati o ufficiali per colmare sistematicamente le lacune nelle materie dei corsi universitari intrapresi dalle aspiranti QP che non hanno studiato farmacia. Alcuni Paesi, tuttavia, hanno istituito corsi di questo tipo.
Portogallo e Regno Unito rendono questi corsi obbligatori per qualsiasi QP, compresi i farmacisti, mentre altri Paesi li rendono obbligatori per le QP che non hanno studiato farmacia.
Alcuni Paesi lasciano all’intraprendenza individuale il compito di colmare le lacune in materia. Questo è probabilmente lo scenario peggiore.

La direttiva consente di ridurre il periodo di esperienza pratica previsto qualora la durata della formazione universitaria superi i 4 anni.
La durata dell’esperienza pratica può essere ridotta di 1 anno quando gli studi sono durati 5 anni, e di 1,5 anni quando gli studi sono durati 6 anni, lasciando, in questo caso, solo 6 mesi di esperienza pratica.
Diversi Paesi utilizzano questa flessibilità di routine, mentre altri la utilizzano solo in determinate circostanze. Altri Paesi richiedono sempre 2 anni di esperienza pratica, indipendentemente dalla durata del corso universitario intrapreso.

In figura 2 una panoramica di quanto discusso finora.

Figura 2: Il percorso per diventare QP
L’ombreggiatura blu chiaro indica un’applicazione flessibile;
> indica che la durata può essere più lunga

Altre aspettative non citate nella Direttiva

In alcuni Paesi le competenze linguistiche specifiche sono un prerequisito. La Direttiva 2001/83/CE non si esprime in merito. La logica ovvia è che il responsabile della qualità deve comprendere il sistema qualità e la documentazione con cui sta lavorando. Anche in questo caso, non esiste un approccio armonizzato (cfr. Tabella 5).

Tabella 5: Requisiti linguistici

In alcuni casi, il requisito linguistico può non essere legato al ruolo di QP ma all’accettazione degli studi all’estero. Ad esempio, un farmacista che ha studiato al di fuori della Germania e vuole che tali studi siano riconosciuti per diventare una QP deve prima essere riconosciuto come farmacista. Per diventare farmacista è obbligatoria una conoscenza minima della lingua tedesca di grado B2.

Aree di miglioramento nella Direttiva

I risultati dell’indagine mostrano che la definizione di esperienza formativa e pratica, stabilita dall’articolo 49 della direttiva, è vaga e viene interpretata in modo molto flessibile a livello nazionale. Si tratta di un tipico compromesso che porta a un basso livello di armonizzazione.

I risultati dell’indagine illustrano nella pratica quanto siano variabili i requisiti formativi in termini di contenuti. Non è certamente utile basare i requisiti di studio sul nome della laurea o del diploma e alcuni Paesi consentono un elenco di qualifiche più ampio di quello indicato nella direttiva. Non solo le materie di studio dovrebbero essere armonizzate, ma dovrebbe anche essere stabilito un numero minimo di ore da dedicare a ciascuna di esse. Inoltre, dovrebbero essere aggiunte materie importanti come la legislazione sui farmaci, la farmacopea, le GMP e le linee guida.

La direttiva prevede una serie di requisiti relativi all’istruzione e all’esperienza pratica per diventare QP. Si potrebbe concludere che una QP può lavorare con qualsiasi tipo di prodotto. In pratica, quasi tutte le QP vengono accettate solo per un sottoinsieme di gruppi di medicinali. Gli approcci nazionali spesso prevedono un ulteriore filtro di “idoneità” oltre a quello di “ammissibilità” che, sebbene comprensibile, probabilmente va oltre la direttiva.
Le QP che soddisfano le aspettative nazionali per le forme di dosaggio solide si distinguono dalle QP accettate per i medicinali in fase di sperimentazione o per i biologici, ad esempio.
Questa differenziazione dal punto di vista professionale è senza dubbio appropriata e dovrebbe trovare adeguato riscontro nella direttiva.

Molte situazioni reali richiedono che una QP abbia un’esperienza molto più ampia del minimo di due anni. Inoltre, qualsiasi revisione di questo articolo della direttiva dovrebbe includere chiaramente attività più ampie del QC.

Un’altra area di miglioramento dell’attuale direttiva potrebbe essere la creazione di un archivio di QP a livello europeo.
I partecipanti all’indagine di nove Paesi (AT, BE, CY, GR, IE, MT, PL, PT, RO) confermano l’esistenza di registri nazionali. Inoltre, la Slovenia sta lavorando alla creazione di una banca dati e l’Italia sta distribuendo alle QP certificati personalizzati (senza data di scadenza) che confermano la loro idoneità. In altri Paesi è possibile rimanere QP solo se si è attivamente registrati presso un MIA.

In diversi Stati membri i produttori di API (a volte tutti, a volte solo per le biotecnologie) richiedono una QP. Se è così, presumibilmente è richiesto anche un MIA. Si tratta di un’altra opportunità di armonizzazione a livello europeo per stabilire se o quando una QP e un MIA sono richiesti da un produttore di API e se si applicano le stesse aspettative di formazione o esperienza.

Conclusioni

I requisiti per diventare QP sono definiti nell’articolo 49 della direttiva 2001/83/CE per tutta l’UE. Ci si potrebbe aspettare che questa unica fonte di requisiti in una direttiva porti ad un ambiente armonizzato dopo l’attuazione. Riteniamo che questa indagine fornisca dati relativamente solidi per consentire una valutazione della situazione reale nell’UE a questo riguardo.

Nel corso dei recepimenti nazionali sono emerse e sono tuttora in vigore interpretazioni ampiamente divergenti di questi requisiti apparentemente armonizzati. Il modello variopinto di regole applicate che ne risulta appare piuttosto confuso. A vent’anni da quando la direttiva 2001/83 ha lasciato invariati i requisiti di QP rispetto a quelli stabiliti 46 anni fa nella direttiva 75/319/CEE, è necessario un nuovo sforzo per rivedere, chiarire e semplificare i requisiti. Le deviazioni dalla norma dovrebbero essere limitate e nuovi elementi dovrebbero essere presi in considerazione per l’armonizzazione. Le aree di discussione dovrebbero includere l’adattamento della durata dell’esperienza pratica alla complessità dell’ambiente in cui la QP deve lavorare e si potrebbero considerare requisiti armonizzati per gruppi di prodotti specifici. I registri delle QP fornirebbero trasparenza sulle persone qualificate e sulle loro aree di idoneità.


Tratto da un articolo di:
Dr Ulrich Kissel, Chairman of the European QP Association

Audit Report 2022: le non conformità più comuni

Nel corso del 2022, Quality Systems ha eseguito un totale di 57 audit di seconda parte.
Di seguito diamo una panoramica delle modalità con cui sono stati eseguiti, la tipologia di prodotti e servizi coinvolti, le aree geografiche ed i criteri di audit adottati:

Grazie all’allentamento delle misure restrittive adottate a seguito della pandemia, sono aumentati gli audit in presenza che sono sicuramente più efficaci di quelli da remoto e che consentono una verifica più approfondita, soprattutto degli aspetti operativi.

Ad esclusione dell’Oceania, Quality Systems ha auditato tutti i continenti anche se le richieste maggiori si sono riscontrate per l’Europa.

Anche la tipologia dei servizi e dei prodotti oggetto di audit sono stati vari:

Il maggior numero di audit è stato richiesto per operatori logistici, ma un buon numero di audit ha riguardato anche la produzione ed i servizi di analisi legati ai farmaci.

Come si evince dal grafico sopra, Quality Systems ha le competenze per poter svolgere una vasta tipologia di audit: quest’anno sono stati effettuati anche numerosi audit di Farmacovigilanza.

Come mostrato nel grafico sotto riportato, i criteri di audit applicati sono stati quelli ritenuti più idonei per i diversi settori, principalmente GXP ed ISO.

Classificazione delle non conformità

Passando alle non conformità più comunemente riscontrate, anche quest’anno non si sono rilevate non conformità critiche ma si è osservata una percentuale di non conformità maggiori superiore rispetto a quelle del 2021, come si evince dai grafici sotto riportati:

Questo dato coincide con quanto emerso durante l’incontro per le QP organizzato da AFI a Dicembre 2022, durante il quale AIFA (Ufficio GMP API) ha evidenziato un aumento del numero di diffide, sospensioni e sanzioni tra la fase pre-covid e la fase post-covid.

È possibile che ciò sia dovuto ad un allentamento inevitabile delle misure di controllo da parte delle Autorità e da parte dei clienti negli audit ma è anche indubbio che le sfide per le aziende farmaceutiche in questi anni siano sicuramente aumentate: la pandemia in primis, seguita dalla crisi energetica che ha comportato la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e l’aumento dei costi energetici. È necessario, pertanto, mantenere un attento e costante controllo e monitoraggio sui propri fornitori.


Vuoi diventare un Auditor ISO-GMP? Allora non perderti il nostro corso!
Milano, 7 e 8 marzo 2023


Le non conformità per reparto

Di seguito sono riportate le non conformità per reparto, confrontate con quelle dell’anno precedente:

Anche nel 2022 il numero di non conformità più elevato si è riscontrato sul sistema di gestione qualità; a seguire, i reparti maggiormente impattati sono stati il Magazzino, la Produzione ed il Controllo Qualità. Questo non stupisce in quanto si tratta dei reparti maggiormente coinvolti nelle attività GMP.

Sicuramente le differenze rispetto all’anno 2021 dipendono anche dalla tipologia di audit eseguiti: come già evidenziato, nel 2022 sono stati svolti diversi audit a laboratori quindi può essere che, ad esempio, l’aumento delle non conformità nel reparto CQ sia semplicemente dovuto al maggior numero di audit svolti in tale ambito. Quello che però indubbiamente colpisce è l’aumento delle non conformità sotto la voce “altri reparti”, soprattutto considerando che sotto questa voce, il reparto che da solo ha “collezionato” il 79% delle non conformità è stato il reparto IT.

Aumentando la digitalizzazione dei processi, anche l’IT diventa sempre più coinvolto nelle attività GxP ma non sempre è adeguatamente auditato: in parte perché tale attività è spesso demandata parzialmente all’esterno e in parte per le competenze specifiche richieste.


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Le non conformità per ambito

Di seguito, infine, le non conformità per ambito:

Nel grafico sopra riportato sono indicate la percentuale di non conformità su tutte le non conformità rilevate, suddivise per ambito ed i relativi andamenti nell’anno 2021 e nell’anno 2022.

Si osserva che, come avvenuto nel 2021, gli ambiti maggiormente coinvolti sono “Change e deviazioni”, il training, la documentazione, la data integrity e le buone pratiche di registrazioni ed infine le convalide (che comprendono tutte le tipologie di convalide/qualifiche: cleaning validation, convalida dei metodi analitici, convalide di processi, convalide dei sistemi informatici e qualifiche degli equipment).

Anche in questo caso, si riscontrano analogie con quanto indicato da AIFA durante l’incontro delle QP dove si evidenziavano tra gli ambiti maggiormente colpiti, il sistema di gestione qualità, la documentazione/registrazioni, i processi/equipment e le convalide.

In particolare, rispetto al 2021, sono aumentate drasticamente le non conformità relative alla documentazione: in molti casi si sono riscontrati documenti non sufficientemente dettagliati o regolarmente aggiornati, non in linea con i documenti regolatori o i quality agreement oppure non sotto controllo per la relativa gestione e distribuzione.


Impara a sviluppare una documentazione snella ed incisiva, grazie ai consigli che troverai partecipando a questo seminario.
Milano, 22 giugno 2023


Sia in ambito ISO che in ambito GxP, la documentazione costituisce una parte fondamentale di un buon sistema qualità: è un mezzo indispensabile per la corretta esecuzione delle attività e quindi per la minimizzazione degli errori e per la standardizzazione dei processi;  come tale, la sua importanza deve essere compresa e diffusa in ogni ambito aziendale.


Articolo a cura di:
Anna Bertolotti, GxP Compliance Expert di Adeodata

Quality Agreement: contratti GMP con i fornitori

Allo scopo di ottimizzare le risorse, sempre più aziende farmaceutiche e chimico-farmaceutiche si orientano verso l’esternalizzazione completa o parziale delle attività ad impatto GMP.

La gestione corretta ed efficace dei contratti è divenuta dunque un’attività fondamentale che deve tener conto dei differenti aspetti normativi, legali, assicurativi, organizzativi, strategici e tecnologici.

Questo approfondimento è dedicato proprio ai Quality Agreement, i contratti che sono alla base dei rapporti con i terzisti e parte integrante del Sistema di Qualità delle aziende farmaceutiche e che, specificatamente, si riferiscono alla gestione del rapporto GMP tra contract Giver e Contract Acceptor.

La legislazione

L’articolo 50 del D.Lgs. 219/2006 consente ai titolari AIC di esternalizzare parte della propria produzione, previa autorizzazione da parte dell’Autorità, e assegna la responsabilità delle fasi produttive e di controllo alla QP dell’azienda committente e alla QP dell’azienda terzista.

Naturalmente questo tipo di accordi deve essere gestito da un contratto scritto, come previsto dalle EU GMP, che dettagli obblighi e responsabilità delle parti coinvolte.

Responsabilità contrattuali e accordo tra le parti

Nel settore farmaceutico i contratti possono essere sia di natura puramente commerciale sia di produzione conto terzi (accordi di lavorazione, full-service o misti).
Il contratto serve quindi a definire gli obblighi e i diritti delle parti (art. 1321 c.c.), a definire la legge applicabile, a derogare eventuali obblighi di legge e a scegliere la modalità di definizione delle controversie (art. 806 c.p.c.).
Il contratto viene ritenuto finalizzato quando chi ha fatto la proposta è a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (art.1326 c.c.).

Responsabilità delle aziende terziste è quella di fornire prodotti conformi alle GMP e di seguire gli standard imposti dalle norme di legge. Inoltre, devono garantire la funzionalità e la qualità del prodotto secondo contratto.

Il contratto

Come già anticipato, nel D.Lgs. 219/2006 è previsto che ogni operazione di produzione affidata contrattualmente a terzi, sia oggetto di un contratto scritto che definisca chiaramente le responsabilità delle parti e in particolare l’obbligo dell’appaltatore di rispettare le norme di buona fabbricazione.

Il subappalto è concesso solo previa autorizzazione scritta da parte del committente. Allo stesso modo, il contratto di subfornitura deve essere stipulato in forma scritta (art.2 Legge 192/1998).

Nel contratto devono essere specificati, tra gli altri:

  • i requisiti specifici del bene o del servizio richiesto anche con richiamo a norme tecniche (che devono essere allegate se non di uso comune)
  • i termini e le modalità di consegna
  • gli obblighi delle parti inerenti la lavorazione
  • i controlli presso il sito produttivo
  • il controllo su campione di prodotto
  • il divieto di subappalto previa autorizzazione
  • le conseguenze in caso di vizio del prodotto
  • la durata del contratto
  • il preavviso in caso di recesso

Inoltre è bene indicare nel contratto anche il termine entro cui eventuali contestazioni o reclami dovranno essere inviati per iscritto all’appaltatore.

Inadempimenti e ritardi

Se un fornitore non esegue la prestazione dovuta o non rispetta il contratto è tenuto a risarcire il danno, a meno che non dimostri che l’inadempimento non sia imputabile a lui (art. 1218 c.c.). Il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno (art. 1223 c.c.).

In caso di ritardo, il contratto può prevedere una penale a carico del fornitore.

Durata e rinnovo

Nel contratto con il fornitore va indicata la durata e precisato se, allo scadere del termine previsto, il contratto dovrà intendersi rinnovato (e per quale periodo) o, al contrario, risolto.

In taluni casi può risultare opportuno che la durata degli obblighi sia superiore alla durata del contratto cui si riferisce, al fine di tutelare il diritto alla proprietà esclusiva.

Focus: il capitolo 7 delle EU GMP Parte I

Il capitolo 7 delle EU GMP è interamente dedicato alle attività in outsourcing ed è armonizzato con l’ICH Q10. Il capitolo si applica a tutte le attività ad impatto GMP, compresa la distribuzione, la manutenzione e la convalida.
Proprio nell’ICH Q10 si afferma che l’azienda farmaceutica è responsabile di assicurare il controllo delle attività esternalizzate e la qualità dei materiali acquistati. Per farlo è necessario:

  • valutare l’idoneità e la competenza del fornitore
  • monitorarne le prestazioni
  • definire le responsabilità in un accordo scritto
  • monitorare i materiali in entrata per assicurarsi che provengano da una supply chain concordata.

Il committente

Secondo le GMP, il committente ha la responsabilità di verificare la competenza, l’adeguatezza e la conformità legale del fornitore e deve assicurarsi che vi siano in essere processi adeguati a controllare le attività esternalizzate.

Spetta al committente fornire alla parte interessata tutte le informazioni necessarie a portare a termine i compiti assegnati secondo il contratto, così come monitorarne la performance per implementare eventuali miglioramenti. Anche la review dei record relativi alle attività esternalizzate è in carico al committente, che deve inoltre assicurarsi che tutti i prodotti e i materiali che gli vengono consegnati siano stati prodotti in accordo alle GMP.

Il fornitore

Per poter svolgere al meglio le attività previste dai contratti, il fornitore deve avere strutture e impianti adeguati, deve avere esperienza e personale competente.
Come già anticipato, al fornitore è fatto divieto subappaltare le attività senza l’approvazione scritta del committente ed effettuare cambi non autorizzati.

Il fornitore, accettando il contratto, si rende disponibile ad essere oggetto di ispezione da parte dell’Autorità e del committente.
Pertanto, tutti i record relativi ai prodotti e alle attività oggetto del contratto devono essere resi disponibili.

Il contratto

Il contratto tra committente e fornitore deve specificare:

  • le rispettive responsabilità
  • gli aspetti tecnici
  • i processi di comunicazione
  • le norme applicabili

Nel contratto deve essere descritto chiaramente chi è il responsabile di ogni step delle attività esternalizzate.

NOTA: anche nelle GMP Parte II è presente un capitolo dedicato alle attività in outsourcing. I requisiti presenti nel capitolo 16 delle EU GMP Parte II sono analoghi a quanto previsto nel capitolo 7 delle EU GMP Parte I.

La struttura di un Quality Agreement (esempio)

*La tabella delle responsabilità è la parte più consultata del Quality Agreement. E’ essenziale perchè rende il contratto pratico e realmente utile alla consultazione.

Come scrivere un contratto

Il Quality Agreement deve essere redatto da un gruppo di persone competenti.
Le fasi per la stesura sono le seguenti:

  1. Analisi dell’audience e dei suoi bisogni
  2. Identificazione degli obiettivi del documento
  3. Raccolta materiale e definizione dei contenuti
  4. Scrittura in bozza
  5. Revisione e finalizzazione

Ricorda che un documento va sempre stilato per chi legge, per cui è importante definire gli obiettivi del documento e il grado di approfondimento, oltre a dargli una struttura chiara.
Se devi utilizzare delle abbreviazioni o delle sigle, definisci i termini al primo utilizzo mettendo le abbreviazioni tra parentesi.

Evita parole inutili, concetti senza valore aggiunto o ridondanti: chiarezza e semplicità sono le parole chiave di un documento tecnico ben scritto.

Utilizza schemi, diagrammi, tabelle ed immagini per rendere più chiari i concetti.


L’approccio sopra descritto può essere utilizzato anche per la preparazione di Quality Agreement con fornitori di materiali (es. MP/MC) e con fornitori di servizio di natura differente dal terzista di prodotto (es. laboratori di analisi, distributori, trasportatori, servizi esterni di qualifica equipment etc.) che effettuano per il committente attività ad impatto GMP, che necessitano quindi di essere definite per iscritto in un contratto.


Cosa possiamo fare per te?

Se vuoi approfondire il tema dei Quality Agreement, partecipa al webinar in programma il prossimo 20 aprile 2023.

Se invece desideri organizzare questo corso presso la tua azienda, contatta il nostro ufficio commerciale all’indirizzo sales@qualitysystems.it per ricevere un’offerta dedicata.

I nostri consulenti sono in grado di aiutarti nella stesura dei contratti di fornitura così come nella valutazione periodica dei fornitori.


Articolo a cura di:
Giulia Colombo, Senior Marketing Specialist di Adeodata
Marta Carboniero, GxP Compliance Expert di Adeodata

La Data integrity secondo la ISO 17025:2017

Background

La BS EN ISO/IEC 17025:2017 (che incorpora le correzioni di maggio e giugno 2018) riguarda i requisiti generali per i laboratori di test e di taratura. Questo standard è stato sviluppato con l’obiettivo di promuovere la fiducia nei confronti delle attività dei laboratori conto terzi e contiene i requisiti utili a dimostrare la loro competenza e la loro capacità di generare dati validi. I laboratori conformi a questa ISO operano generalmente anche in accordo con la ISO 9001:2015.

La ISO 17025 si applica, quindi, a tutte le organizzazioni che svolgono attività di laboratorio, a prescindere dal numero di addetti. I clienti dei laboratori e le Autorità regolatorie possono utilizzare questo standard per confermare o stabilire la competenza dei laboratori in sede di ispezione o audit.

Questo documento richiede al laboratorio di pianificare e implementare azioni per affrontare i rischi e le opportunità come base per aumentare l’efficacia del sistema di gestione, ottenere risultati migliori e prevenire gli errori.

Nel documento vengono affrontati anche i temi della data integrity, della gestione dei sistemi computerizzati e dei record tecnici. Vediamo quali sono i requisiti che i laboratori devono rispettare e che quindi potranno essere utilizzati come riferimento dalle aziende farmaceutiche e chimico-farmaceutiche durante l’effettuazione degli audit ai fornitori di servizi.

Record

Al paragrafo 7.5 della ISO si afferma che la documentazione tecnica deve riportare la data e l’identità del personale responsabile di ciascuna attività di laboratorio e della verifica dei dati e dei risultati. É inoltre richiesto che le osservazioni originali, i dati e i calcoli siano registrati al momento della loro realizzazione e riconducibili a uno specifico task (§7.5.1).
Questi requisiti rispecchiano quanto previsto dall’ALCOA+ in merito all’attribuibilità, alla originalità e alla contemporaneità delle registrazioni.

Il laboratorio deve inoltre garantire che le modifiche alle registrazioni tecniche possano essere ricondotte a versioni precedenti o alle osservazioni originali, ad esempio con la registrazione sotto forma di audit trail. Devono essere conservati sia i dati che i file originali e modificati, inclusa la data di modifica, un’indicazione degli aspetti modificati e il personale responsabile delle modifiche (§7.5.2).
Queste richieste sono, quindi, anch’esse riconducibili ai requisiti della attribuibilità e della completezza secondo quanto previsto dall’ALCOA+.

Controllo dei dati e gestione delle informazioni

Come prerequisito alla data integrity dei record elettronici e per soddisfare il requisito della Accuratezza, al punto §7.11.2 si richiede che il sistema di gestione delle informazioni di laboratorio utilizzato per la raccolta, l’elaborazione, la registrazione, la comunicazione, l’archiviazione o il recupero dei dati sia convalidato secondo l’intended use, prima del suo utilizzo. Tutte le modifiche (inclusa alla configurazione del software di laboratorio o modifiche al software commerciale standard – COTS) devono essere autorizzate, documentate e convalidate prima dell’implementazione (change control dei sistemi computerizzati).

NOTA: Un software COTS (commercial off-the-shelf) utilizzato nelle condizioni standard può essere considerato sufficientemente convalidato.

La ISO 17025 include anche alcuni requisiti a garanzia della data integrity dei record elettronici (§7.11.3). I sistemi di gestione delle informazioni di laboratorio devono infatti essere protetti da accessi non autorizzati e tutelati da manomissioni. Inoltre, il sistema deve essere utilizzato in un ambiente conforme alle specifiche del fornitore o del laboratorio e mantenuto in modo da garantire l’integrità dei dati e delle informazioni.
Infine, tutti i guasti devono essere opportunamente registrati e ad essi devono seguire azioni correttive appropriate.

Il personale deve essere in grado di reperire facilmente tutte le istruzioni, i manuali e i dati di riferimento relativi al sistema di gestione delle informazioni (§7.11.5).

In caso di trasferimento di dati, tutti i dati e i calcoli devono essere verificati in modo sistematico e appropriato (§7.11.6).

Cos’è previsto nel caso in cui un sistema di gestione delle informazioni di laboratorio sia gestito da un provider esterno?
Lo standard richiede che sia il laboratorio a garantire che il fornitore soddisfi i requisiti della ISO (§7.11.4).

A questo proposito, diventano quindi fondamentali la qualifica dei provider e la definizione di opportuni contratti.

E nel caso in cui vengano utilizzati sistemi non computerizzati?
Devono comunque essere predisposte le condizioni necessarie a salvaguardare l’accuratezza delle registrazioni e delle trascrizioni (§7.11.3c).

Controllo della gestione dei documenti di sistema

In accordo al  paragrafo 8.3.2, il laboratorio deve garantire che:

  • i documenti siano approvati prima del rilascio da parte di personale autorizzato;
  • i documenti sono rivisti periodicamente e, se necessario, aggiornati;
  • siano individuate le modifiche e lo stato di revisione attuale dei documenti;
  • le versioni applicabili siano disponibili presso i punti di utilizzo e la loro distribuzione sia controllata;
  • i documenti siano identificati in modo univoco;
  • sia impedito l’uso involontario di documenti obsoleti e agli stessi sia applicata idonea identificazione se per qualsiasi scopo vengono conservati.

Scorrendo questo elenco, ci si rende immediatamente conto del parallelismo con le Good Documentation Practice, requisiti base da garantire per soddisfare la integrità dei documenti e delle registrazioni cartacee.

Se volessimo fare una comparazione con la gestione documentale prevista dalle EU GMP ci accorgeremmo, infatti, di diverse sovrapposizioni. Ad esempio, nel capitolo §4.2 si richiede che i documenti siano progettati, preparati, revisionati e distribuiti in modo controllato. Inoltre, i documenti che contengono istruzioni devono essere approvati, firmati e datati da una persona competente e autorizzata (§4.3). Tutti i documenti devono poi essere regolarmente revisionati e aggiornati (§4.5).

Controllo delle registrazioni

Un’altra richiesta della ISO 17025 in linea con i requisiti ALCOA+, è che il laboratorio conservi registrazioni leggibili per dimostrare il rispetto dei requisiti (§8.4.1).

Inoltre, il laboratorio deve implementare tutti i controlli necessari per l’identificazione, la conservazione, la protezione, il backup, l’archiviazione, il reperimento, il tempo di conservazione e lo smaltimento delle proprie registrazioni, quindi tutte quelle misure richieste per soddisfare i requisiti del Duraturo dell’ALCOA+.
Per quanto conservare i record? Il laboratorio deve conservare le registrazioni per un periodo coerente con i propri obblighi contrattuali. L’accesso a questi record deve essere coerente con gli impegni di riservatezza e le registrazioni devono essere prontamente disponibili.

Cosa possiamo fare per voi

Adeodata Group può dare una mano alla tua azienda con attività di consulenza e di supporto a tutte le attività legate al ciclo di vita dei software (convalida iniziale, attività di mantenimento, redazione di SOP, dismissione dei sistemi,…).

Possiamo inoltre organizzare un corso di approfondimento sulla data integrity e sulla convalida dei sistemi informatizzati nella modalità corso in house, ovvero direttamente nella vostra azienda, in presenza o da remoto.

É poi possibile richiedere un supporto specifico per la preparazione alle ispezioni o richiedere l’esecuzione di audit per la valutazione di fornitori di servizi.

Infine, possiamo supportati nella definizione di un sistema di qualità conforme ai tuoi standard di riferimento e alle indicazioni della data integrity.


Articolo a cura di:
Giulia Colombo, Senior Marketing Specialist di Adeodata
Laura Monti, GxP Compliance Expert di Adeodata

Digitalizzazione del laboratorio bottom-up

Questo approfondimento è tratto dall’intervento di Pier Luigi Agazzi, CSV Consultant & Partner di Adeodata, svolto durante il QC Pharma Day 2022.

Attualmente, molti dei laboratori QC farmaceutici e chimico-farmaceutici possiedono un LIMS o sistemi automatizzati di gestione dei dati, tuttavia le registrazioni cartacee rappresentano ancora la normalità. Si parte da un master, ma poi moduli, checklist, logbook e registri vengono stampati per raccogliere le firme di approvazione e revisione.

Rispetto agli USA, al Regno Unito e perfino alla Cina, l’Italia è ancora indietro nella digitalizzazione dei laboratori. Effettivamente se consideriamo la mole di carta che viene prodotta ogni giorno da un laboratorio QC è evidente come la strada sia ancora lunga.

Perchè la digitalizzazione non è più differibile? Perchè è richiesta dalle ultime linee guida e quindi, ormai, è un’aspettativa degli ispettori.

Nella linea guida PIC/S 041 del 2021 “Good Practices for data management and integrity in regulated GMP/GDP environments” si supporta l’utilizzo di sistemi automatici (o con minimo intervento umano) convalidati al fine di ridurre i rischi di data integrity, nonché le attività di revisione. L’elettronico ha superato la carta nelle aspettative degli ispettori.

§5.5.5 … «A fully automated and validated process together with a configuration that does not allow human intervention, or reduces human intervention to a minimum, is preferable as this design lowers the data integrity risk.»​

PIC/S 041- 2021

La richiesta di utilizzare l’approvazione delle analisi in elettronico (in particolare per gli HPLC) compare sempre più frequentemente nelle osservazioni ispettive.

Per digitalizzare ci sono tanti modi, ma non è facile, considerata la complessità del laboratorio. In un laboratorio ci sono infatti diversi processi (controllo qualità, stabilità, monitoraggio ambientale, gestione degli strumenti…) e ciascun processo è supportato da vari sistemi (LIMS, ELN, QMS…).

Digitalizzazione classica

L’approccio alla digitalizzazione classico, dall’alto al basso (top-down), prevede i seguenti step:

  • Standardizzazione delle piattaforme per HPLC / GC (ed eventuale SDMS – Scientific Data Management System​)​
  • Adozione del LIMS ​
    • Elenco analisi e criteri di accettazione per ogni prodotto​
    • Gestione analisi per ogni lotto​
  • Estensione del LIMS ad analisi di stabilità e monitoraggio ambientale​
    • Gestione scadenziario​
    • Anagrafica dei punti di campionamento, locali, persone, …
  • Aggiunta di ELN (Electronic Laboratory Notebook​) per sostituire il quaderno di laboratorio o i fogli analitici ​
  • Aggiunta di LES (Laboratory Execution System) per gestione reagenti, standard, strumenti​
  • Integrazione con gli strumenti​ per evitare trascrizioni. Questo  è sempre stato l’ultimo step.

Sebbene questo sia l’approccio classico, siamo ancora lontani dalla digitalizzazione.

Con questo approccio si convalida il processo secondo il ciclo di vita standard dei sistemi:

  • Analisi delle funzionalità richieste​
  • Redazione degli URS​
  • Selezione del sistema con la maggiore copertura funzionale ​
  • Progetto di dettaglio​
  • Installazione e configurazione del sistema​
  • Test di accettazione e convalida​
  • Popolamento delle anagrafiche​
  • Redazione delle SOP di utilizzo e mantenimento​
  • Training degli utenti​

Si tratta di un processo lungo e complesso. Si può arrivare ad impiegare fino a un anno per completare ogni singolo step, con un elevato utilizzo di risorse.

Digitalizzazione bottom-up

L’approccio alla digitalizzazione bottom-up, dal basso verso l’altro, consente invece di procedere gradualmente verso il digitale, rendendo ogni cambiamento soft .

L’approccio paper on glass

Tra gli approcci bottom-up esiste il paper on glass, che consente di smaterializzare la carta creando un master elettronico compilabile.  Come?

  • Si importa il master attuale in Word oppure si parte da una libreria di «mattoncini»
  • Si configurano le tipologie ed eventuali vincoli dei campi da compilare manualmente​;
  • Si possono aggiungere la visualizzazione di SOP e Work Instructions controllate​.

La compilazione in elettronico di questi moduli non richiede la riconciliazione e la numerazione delle pagine e fornisce un Audit Trail automatico di eventuali modifiche ai dati in compliance con le GMP.
Inoltre alcuni dei campi possono prevedere la compilazione automatica grazie al dialogo con gli strumenti di laboratorio.
Un ulteriore vantaggio è poi quello di gestire in elettronico la revisione e l’approvazione, che consente di ridurre di molto i tempi di rilascio.

E’ possibile replicare in elettronico il ciclo di vita completo delle registrazioni:

La smaterializzazione dei ticket e degli scontrini

Come smaterializzare gli scontrini? Spesso il problema è rappresentato dai vecchi strumenti che hanno carenze di conformità alla data integrity e non hanno software che li interfacciano.
Un altro approccio bottom-up alla digitalizzazione è l’utilizzo di software detti wrapper, che permettono di far arrivare i dati dello strumento ad un device smaterializzando gli scontrini. Si tratta di software nati per colmare i gap di data integrity ma che possono essere sfruttati anche per  consentire la digitalizzazione, perfino dei vecchi strumenti.

Il wrapper riesce ad raccogliere anche i PDF, gestendone il ciclo di revisione ed approvazione in elettronico, senza doverli stampare.
L’ultima funzione chiave è quella di digitalizzare anche le misure di strumenti che possono solo visualizzarle. La misura viene inserita manualmente dall’operatore, ma c’è la possibilità di allegare immagini al report come raw data.

Nasce il modello cooperativo

Con la digitalizzazione bottom-up nasce il modello cooperativo, con cui è possibile integrare tutti i sistemi esistenti senza sostituirli.
Non è un modello “monolitico”, in cui per avere sistemi integrati occorre introdurre il sistema di un singolo fornitore sostituendo tutti gli altri, ma è un modello in cui sistemi esistenti e nuovi cooperano e si integrano.

Le nuove tecnologie basate su web service semplificano l’interazione tra sistemi diversi.

I vantaggi dell’integrazione bottom-up

L’approccio alla digitalizzazione bottom-up segue i principi lean: attuare piccoli miglioramenti graduali non appena possibile.
Partire dal basso consente una maggiore gradualità perchè:

  • minimizza l’impatto su sistemi e persone: i moduli rimangono gli stessi
  • permette di distribuire gli investimenti nel tempo
  • consente un livello di integrazione e automazione basato sulle esigenze dell’azienda
  • è flessibile perché si adatta esattamente ai processi già presenti in laboratorio
  • facilita la collaborazione e la condivisione di informazioni tra sistemi.

Ci sono ovviamente anche dei limiti. Il paper on glass (come la carta del resto) non è ottimale per la gestione delle giacenze dei materiali (come standard e reagenti) e delle scadenze per le quali è necessario un LES.

In conclusione, possiamo dire che l’approccio bottom-up rende più graduale il percorso di digitalizzazione mitigando i cambiamenti (che avvengono in modo soft), velocizzando le installazioni e le convalide, sfruttando il controllo automatico dei dati inseriti e riducendo l’errore, snellendo il workflow approvativo e garantendo l’accessibilità ai dati. Non si tratta di un approccio alternativo, ma piuttosto complementare all’introduzione dei sistemi come LIMS ed ELN che magari sono già presenti in laboratorio.

 

Articolo a cura di
Ing. Pier Luigi Agazzi, Computer Validation Consultant e Partner di Adeodata
Dr.ssa Giulia Colombo, Senior Marketing Specialist di Quality Systems


Cosa possiamo fare per te

Inpharmatic, grazie ai suoi sistemi, Ioi – Integration of Instrument e DiLab – Digital Laboratory, è in grado di integrare ogni tipo di strumento in un’unica piattaforma, con accesso e gestione centralizzati e di digitalizzare quaderni, form, checklist, template di laboratorio.

Progettare istruzioni sicure ed efficaci per i Dispositivi Medici

Parliamo degli imperativi per una buona progettazione dell’interfaccia utente in un MD (User Interface Design) e quindi delle istruzioni d’uso.
Le interfacce utente di un dispositivo medico coinvolgono tutti i sensi dell’utilizzatore: pensiamo ad uno stetoscopio (udito) ad una siringa (tatto) oppure ad un aerosol (olfatto). Inoltre i prodotti possono avere anche interfacce multiple (una macchina per anestesia ad esempio).

Secondo uno studio della John Hopkins, in America muoiono ogni anno 250.000 persone per errore medico; oltre 100.000 in più rispetto alle morti per disturbi respiratori.

FDA e le Agenzie regolatorie che abbracciano gli standard IEC sull’usabilità si aspettano che i dispositivi medici riflettano le buone pratiche di HFE (Human Factor Engineering), integrandole con un approccio risk-based. In poche parole i dispositivi devono essere sicuri ed efficaci.

Per mitigare i rischi si può:

  1. pensare al safety by design
  2. integrare misure protettive nel MD o nel processo produttivo
  3. lavorare sulle informazioni per la sicurezza

Perchè i manuali di istruzioni hanno una cattiva reputazione?

Decenni di pessime istruzioni ci hanno insegnato che:

  • alcune istruzioni sono meglio di altre
  • qualche volta le istruzioni aiutano, altre invece peggiorano la nostra comprensione
  • spesso sembra che nessuno abbia provato a seguire le istruzioni prima di scriverle

Se ci aspettiamo che le istruzioni siano inutili, investiremo poco nel loro sviluppo ed effettivamente saranno inutili per l’utilizzatore. Non sarebbe meglio dare all’utilizzatore delle buone istruzioni d’uso?

Per farlo possiamo usare l’HFE (ovvero una progettazione user-centered).

Processo di HFE

La progettazione di buone istruzioni parte dalla ricerca sull’utilizzatore tramite osservazioni, interviste, raccolta di feedback e sorveglianza post-market. E’ necessario capire chi avrà accesso alle istruzioni (un medico, un anziano, un genitore…), dove (a casa, in ospedale, all’aperto…) e per quali compiti l’utilizzatore avrà bisogno di istruzioni (come utilizzare l’inalatore, come aprire un flacone, come montare una parte del dispositivo…).

I requisiti dell’interfaccia utente devono basarsi sui bisogni dell’utilizzatore. La qualità delle istruzioni è importante: avere un prodotto intuitivo è una buona cosa ma un eccellente progettazione del dispositivo non riduce il bisogno di avere anche eccellenti istruzioni che lo accompagnino.

Gli obiettivi

Chi progetta le istruzioni deve conoscere l’utilizzatore e l’ambiente d’uso e selezionare il mezzo di comunicazione migliore affinchè l’utilizzatore:

  1. utilizzi il dispositivo correttamente
  2. sappia che sta usando il dispositivo nel modo giusto
  3. capisca quando il dispositivo non funziona nel modo corretto
  4. sia in grado di risolvere una situazione anomala evitando danni all’uomo e alle apparecchiature.

Istruzioni ben progettate e centrate sui bisogni dell’utilizzatore garantiscono un uso sicuro ed efficace del dispositivo.

Concettualizzare il materiale informativo

I materiali informativi possono assumere forme diverse che possono essere sfruttate per creare una strategia comunicativa efficace:

  • istruzioni d’uso
  • checklist o guide rapide
  • supporto online
  • training
  • etichette
  • guide integrate nel dispositivo

Aumentare la disponibilità delle istruzioni

Prepara due o più opzioni media (manuali, istruzioni elettroniche, disegni in etichetta…) per favorire l’accesso alle istruzioni anche in casi eccezionali (assenza di connessione, istruzioni cartacee danneggiate o perse).
Fornisci indicazioni su dove trovare queste opzioni o rimpiazzare le istruzioni perse o danneggiate.
Monitora le fonti informali come i social media per prevenire il rischio di diffusione di istruzioni non ufficiali su gruppi di utilizzatori.

Dimensione e ambito di applicazione

La dimensione delle istruzioni varia in base alla complessità del dispositivo:

  • bugiardini: comuni per prodotti combinati o semplici
  • piccoli libretti multi-pagina: per dispositivi a media complessità
  • manuali estesi: accompagnano dispositivi o processi complessi.

Contenuto

Il contenuto delle istruzioni d’uso di un dispositivo è logico:

Informazioni descrittive

  • destinazione d’uso
  • descrizione del dispositivo
  • controindicazioni
  • rischi e benefici
  • precauzioni e avvertenze
  • importanza di aderire al regime di cura

Informazioni operative

  • istruzioni di setup
  • procedura di spegnimento
  • istruzioni operative
  • importanza di monitorare l’uso
  • istruzioni per la pulizia
  • descrizione delle attività di manutenzione
  • conservazione
  • istruzioni sugli accessori e i dispositivi associati

Informazioni aggiuntive

  • studi clinici
  • eventi avversi
  • garanzia
  • uso in viaggio o in altri Paesi

Data di stampa
Assistenza e come richiedere informazioni

Come possono essere scritte le istruzioni? 3 modi

1: L’ordine cronologico

I contenuti delle istruzioni devono seguire un ordine cronologico:

  1. guida per il setup
  2. utilizzo
  3. manutenzione e conservazione
  4. risoluzione dei problemi e supporto
  5. specifiche
  6. glossario e indice

2: Component-centric

Le istruzioni devono concentrarsi sui componenti del dispositivo:

  1. benvenuto
  2. informazioni di sicurezza
  3. la tua condizione rispetto al dispositivo
  4. assistenza
  5. utilizzare il dispositivo
  6. guida alla risoluzione dei problemi
  7. glossario e indice

3: Lifestyle

  1. conosci il dispositivo
  2. utilizza il dispositivo
  3. conservazione e manutenzione del dispositivo
  4. supporto e informazioni tecniche

Indipendentemente dal tipo di approccio utilizzato, si utilizza sempre lo stesso ordine per organizzare le informazioni, basandosi sulla priorità.

Sviluppare un layout efficace

I problemi più comuni riscontrati dagli utilizzatori rispetto al layout delle istruzioni sono i seguenti:

  • troppo testo
  • nessuna gerarchia nell’ordine delle informazioni
  • step non numerati
  • assenza di messaggi chiari sulla sicurezza
  • struttura poco chiara

Step 1: densità delle informazioni

Il 60-75% della pagina deve avere del contenuto. Lo scopo è produrre un documento che sia pieno solo per 2/3 della pagina cercando di integrare illustrazioni e box di testo.

Step 2: titoli e sottotitoli

L’utilizzo di titoli e sottotitoli aiuta il lettore a creare un modello mentale e a trovare subito le informazioni che cerca. Via libera anche all’uso di colori e font diversi.

Step 3: dimensione del font

  • 24 pt per il titolo della sezione
  • 16-18 pt per i sottotitoli
  • 12-14 pt per le spiegazioni dettagliate

E’ raccomandato un cambio di grandezza del testo del 25% tra parti diverse in modo da permettere agli utenti di distinguere immediatamente la differenza nelle sezioni.

Step 4: spunti per la navigazione

E’ importante assicurarsi che il lettore sappia dove trovare le informazioni. Ci sono diverse tecniche per aiutare l’utilizzatore ad orientarsi nelle istruzioni:

  • linguette laterali colorate
  • utilizzare titoli e sottotitoli ripetuti
  • numeri di pagina ben visibili sul bordo esterno

Step 5: informazioni presentate step by step

Tutte le procedure devono essere divise in step numerati. Numerare gli step aiuta l’utilizzatore a seguire correttamente una procedura.
I numeri dovrebbero essere ben evidenti (colorati, in box, in cerchi evidenziati…), facili da identificare.
Le informazioni non sequenziali possono invece essere narrative.

Step 6: pensare all’utilizzatore

Le variazioni del layout della pagina non sono vietate se aiutano l’utilizzatore. L’utilizzo di elementi chiave visivi, diagrammi e illustrazioni va incentivato.
In orizzontale o in verticale? La scelta dell’orientamento deve essere a vantaggio della chiarezza delle istruzioni, così come la dimensione del formato. Potrebbe essere utile presentare gli step orizzontalmente su due pagine, ma se se ne utilizza una bisogna prestare attenzione a non inserire le azioni importanti sul retro del foglio.

Esempio di istruzioni con processo diviso a step su 2 pagine orizzontali

Scrittura

Alcune istruzioni base:

  • usa costruzioni attive della frase
  • sii breve e conciso, evita le informazioni non utili
  • focalizzati sui dettagli procedurali
  • evita i termini ambigui
  • organizza ogni azione in uno step diverso

Il font:

  • evita il serif
  • attieniti ad uno o due stili
  • varia il testo e il font per dare più enfasi
  • usa alto contrasto nella scelta dei colori
  • evita le frasi tutte in maiuscolo
  • non scrivere troppo piccolo (considera che 8pt è il livello medio di lettura tra gli adulti)
  • attenzione al kerning (spaziatura tra le lettere)

Grafica e illustrazioni

L’utilizzo delle illustrazioni permette di dare enfasi agli step importanti e facilita la comunicazione. Inoltre l’aggiornamento della grafica in caso di modifiche al prodotto è più semplice.

Combinare testo e immagine è solitamente la soluzione più chiara:

  1. il testo e l’immagine descrivono esattamente la stessa azione. Funziona bene per compiti semplici
  2. la grafica fornisce informazioni fisiche e di contesto, mentre il testo fornisce i dettagli
  3. diagrammatico: una grafica o un testo che fanno il punto su un processo.
Esempio di grafica che fornisce il contesto d’uso accompagnata da testo con dettagli

Consigli per illustrazioni efficaci

  1. disegno dalla prospettiva dell’utilizzatore
  2. una grafica a metà tra un disegno e una foto realistica è la scelta migliore
  3. la grafica deve essere grande abbastanza da permettere di distinguere i dettagli
  4. elementi visivi che comunicano le informazioni essenziali (frecce, rumori ecc.)
  5. dettagli evidenti (come in una lente di ingrandimento)
  6. non dimenticare il contesto (ad esempio mostra la sede di un’iniezione mostrando tutto il corpo)

Informazioni di sicurezza e simboli

All’inizio dell’articolo abbiamo detto che per mitigare i rischi possiamo lavorare sul safety by design, integrare misure protettive all’interno del dispositivo o del processo produttivo oppure fornire adeguate informazioni di sicurezza.

Le informazioni di sicurezza sono speciali istruzioni che devono presentate i rischi e le misure da mettere in atto per un utilizzo sicuro del dispositivo. I produttori hanno l’obbligo di mettere in guardia l’utilizzatore sui rischi, per questo le informazioni di sicurezza devono essere posizionate in modo da essere evidenti. Una cattiva comunicazione delle informazioni di sicurezza mette a rischio l’utente e di conseguenza espone il produttore a cause legali. I fattori da considerare sono quindi:

  • il pubblico
  • le condizioni in cui viene visualizzato l’avviso
  • la percezione del pericolo
  • la severità del danno
  • le misure protettive
  • il costo della compliance
  • il formato

Un buon avviso comprende un colore di avvertimento, un simbolo, il pericolo, la conseguenza e come evitarla.

Esempio di messaggio di allerta

L’ANSI ZS35.6 fornisce una guida per le informazioni di sicurezza presenti nei manuali, nelle istruzioni e nei materiali collegati al prodotto. Si elencano i principi per la progettazione dei messaggi di allerta.

L’utilità delle guide rapide

Immaginiamo che sull’interfaccia del nostro dispositivo appaia un messaggio di allerta, ad esempio “Aria nel dispositivo. Allarme 42“. Per trovare la soluzione al nostro problema dovremo consultare il manuale utente partendo dall’indice per trovare la sezione giusta e cercando di reperire l’informazione tra decine di pagine.
Una guida rapida con passaggi illustrati permetterebbe di risolvere il problema in modo tempestivo e dovrebbe essere posizionata al punto di utilizzo.

Le guide rapide sono ideali per:

  • attività brevi
  • ricordare ad utilizzatori esperti come si effettua un compito
  • eseguire i setup
  • guidare l’utilizzatore nelle istruzioni operative
  • facilitare la risoluzione dei problemi
  • descrivere componenti ed uso previsto

La dimensione di una guida rapida può variare (cartolina, A4, mezza pagina) e, se attaccata al dispositivo, deve garantirne l’uso sicuro. Per questo deve essere ben visibile e non rovinata (fogli plastificati). Una buona guida rapida minimizza la lettura da parte dell’utente grazie a grafiche “parlanti” ed è sempre aggiornata.

Istruzioni elettroniche

Le istruzioni elettroniche sono previste solo per speciali categorie di dispositivi:

EUUS
Dispositivi e accessori per utilizzatori professionali;
Software
Dispositivi da prescrizione utilizzati in strutture sanitarie o da personale sanitario;
IVD utilizzati da personale sanitario
Draft Commission Regulation on electronic instruction for use of medical devices (2021)Directions for use and warnings on label, 21 U.S.C. §325f (2010)

Il produttore deve in ogni caso fornire un manuale cartaceo su richiesta e senza costi aggiuntivi.
I vantaggi delle istruzioni elettroniche sono:

  • disponibilità: quando integrate nel dispositivo, le istruzioni elettroniche sono sempre disponibili per l’utilizzatore al punto d’uso.
  • interattività: se la carta è una risorsa statica, le istruzioni elettroniche incorporano elementi dinamici come animazioni o conferme per gli step eseguiti.
  • durata: le istruzioni cartacee sono soggette ai danni del tempo e all’usura, mentre se si presume che il dispositivo sia robusto, le istruzioni elettroniche sono sicuramente più durature.
  • adattabilità: le istruzioni elettroniche si possono aggiornare facilmente e l’utilizzatore può ricevere gli aggiornamenti in tempo reale.
  • lingua: le istruzioni elettroniche possono essere caricate in diverse lingue così da evitare il problema logistico di produrre documenti stampati in tutte le lingue. L’utilizzatore può selezionare la sua lingua in fase di setup.

Le criticità riscontrare riguardano:

  1. la disponibilità: se le istruzioni sono separate dal dispositivo medico, ad esempio su uno smartphone, potrebbero non essere sempre disponibili quando necessario.
  2. lo schermo condiviso: se le istruzioni appaiono sullo schermo primario del dispositivo potrebbero oscurare le informazioni sull’interfaccia dedicate alla funzionalità.
  3. l’accesso alla tecnologia nei mercati in via di sviluppo.
  4. la riduzione della qualità: progettare istruzioni efficaci è difficile su qualsiasi mezzo. Farlo in elettronico pone ulteriori sfide: schermi piccoli, difficoltà nel creare strutture intuitive per la navigazione…

Testare e validare le istruzioni

Perchè testare le istruzioni? Perchè le istruzioni possono fuorviare e portare l’utilizzatore ad un uso errato del dispositivo: potrebbero esserci errori, step mancanti o descritti in modo non corretto, illustrazioni non aggiornate, testo troppo piccolo ecc.

Dunque per finalizzare la progettazione occorre:

  1. una volta che il software, l’hardware e il materiale di supporto sono completi, condurre un pre-test di usabilità per accertare l’efficacia della mitigazione del rischio;
  2. identificare possibili cambi sulla base dell’esito del pre-test;
  3. considerare l’impatto che i cambi hanno sul budget e sulla programmazione prima di eseguire il test definitivo;
  4. condurre lo Human Factor validation test per valutare l’usabilità e confermare che l’utilizzatore sia in grado di completare i compiti descritti in modo efficace.

Fonte

Webinar by Emergo by UL: Designing safe and effective instructional materials for medical devices