Sanificazione degli impianti acqua: qual è la temperatura ottimale?

La sanificazione termica è tutt’ora il metodo più usato per mantenere gli impianti per il trattamento dell’acqua sotto controllo microbiologico. In effetti, è il miglior metodo per gli stabilimenti produttivi – i quali usano scambi ionici, osmosi, elettrodeionizzazione ed ultrafiltraggio.
Molti sistemi d’immagazzinamento WFI funzionano abitualmente ad alte temperature. Gli impianti acqua farmaceutici invece sono solitamente riscaldati ad alte temperature (a scopo germicida) in maniera ciclica.

In ciascun caso sorge la domanda su quale sia la temperatura ottimale.
Se la temperatura è troppo alta può causare danni ai materiali, mentre se è troppo bassa potrebbe non avere sufficiente potere germicida.

I principali problemi di un’alta temperatura di sanificazione

Negli impianti farmaceutici, viene spesso raccomandata una temperatura di 80°C per ‘motivi storici‘. L’indicazione corrisponde alla specifica contenuta in una precedente edizione della US Pharmacopeia: “Temperatures of at least 80° are most commonly used“.

Sfortunatamente, questa temperatura può incidere negativamente sull’usura di materiali come sigilli o membrane (si pensi all’osmosi inversa).
Bisogna poi tener conto del fenomeno di rouging ad alte temperature in sistemi idraulici in acciaio inossidabile. Più è alta la temperatura, più marcato sarà il rouging. Ricoprire il serbatoio con azoto può ulteriormente incrementare la formazione di ferro o ossidi di ferro in superfici di SS316L.
Se quindi una temperatura di 80° può essere dannosa, sorge il dubbio se questa temperatura sia da considerarsi ragionevole o se debba essere prescritta in un regolamento GMP vincolante.

La temperatura non è l’unico fattore da considerare

Una recente affermazione a riguardo si può trovare nel capitolo <1231> della USP.
In aggiunta alla temperatura, un altro fattore fattore fondamentale per lo sterminio dei germi è il tempo di esposizione. Il tasso di uccisioni è una funzione della temperatura, indicata mediante il D-value. Ad esempio, per la maggior parte dei microrganismi, ad 80° il D-value è di 5 millisecondi. Ciò significa che la quantità microbica iniziale sarà ridotta a un decimo in 5 millisecondi.
Un altro aspetto della questione riguarda la distribuzione della temperatura. La soglia di 80° è pensata per assicurare il raggiungimento di una temperatura capace di uccidere i microrganismi in tutte le parti del sistema e per un tempo abbastanza lungo.
In particolare, la USP considera una temperatura di 65° sufficiente per la sanificazione. Il problema qui è assicurarsi che 65° siano ottenuti anche nei cosiddetti ‘punti freddi’ di un sistema. Ad esempio, in un tubo ad anello il ritorno nel serbatoio può essere il punto più freddo di tutto il sistema, ma può anche non esserlo. Di conseguenza, aderire alla regola delle 3D durante la progettazione del sistema può aiutare a sanificare in sicurezza con temperature inferiori ad 80°.

Una sanificazione in sicurezza a temperature più basse è possibile?

La USP attualmente afferma che “Temperature di 65°-80° sono solitamente usate per la sanificazione termica“.
Nelle FAQ sull’acqua per uso farmaceutico, la USP indica un valore di 60° da raggiungere sulle superfici del punto freddo: “…per assicurare che tutte le superfici raggiungano una temperatura di sanificazione maggiore di 60°“.
Una significativa riduzione della temperatura di sanificazione può quindi allungare la resistenza all’usura (specie delle componenti in plastica), ridurre il rouging ed abbassare i costi operativi.
Ciò è particolarmente vero per quegli impianti che mantengono il loro WFI addirittura ad 85° per poter avere un margine di sicurezza rispetto alla temperatura richiesta di 80°. In questi casi, il margine in questione è dovuto alla poca accuratezza del sensore di temperatura.

In conclusione

Ma quindi qual è la temperatura di sanificazione ottimale? Per la maggior parte degli impianti di produzione e dei sistemi di stoccaggio e distribuzione il valore ottimale è tra 65° e 80°. Una temperatura di 65° è dimostrabilmente efficace – o una temperatura di 70° con un margine di sicurezza – a patto che vi sia un’adeguata progettazione dell’impianto.


Fonte:

Linea guida WHO sulla Pharmaceutical Water: nuova bozza

WHO ha pubblicato la bozza revisionata della linea guida “Good Manufacturing Practices: water for pharmaceutical use” alla fine di luglio. La prima bozza della linea guida è stata pubblicata a maggio 2020. La revisione è diventata necessaria per la possibilità di produrre WFI in Europa con metodi diversi dalla distillazione.

Controllare e assicurare la qualità dell’acqua durante tutti i processi di produzione, conservazione e distribuzione è infatti essenziale e negli ultimi anni è sorta la necessità di ottenere WFI con tecnologie e metodi differenti. Necessità emersa grazie allo scambio costante di opinioni tra le Autorità e i portatori di interesse.

Questa seconda bozza contiene alcuni cambiamenti rispetto alla prima versione. Il capitolo sull’Highly Purified Water (HPW) non è più presente. Mentre era ancora incluso nella prima bozza, sebbene non nella Farmacopea Europea.

Anche il capitolo sulle tecniche di controllo della biocontaminazione è stato rimosso nella nuova bozza, mentre il capitolo System Sanitisation and bioburden control è stato ampliato e dettagliato.

Il capitolo Bulk water for injections è cresciuto considerevolmente. Sono stati aggiunti più punti nella lista da considerare per una robusta generazione di WFI (§4.4.3); tra cui: punti di campionamento, strategie di sanificazione, allarmi, registrazioni di dati elettronici, audit trail.

Nel capitolo sulle buone pratiche per i water systems, che include criteri di progettazione per trattamento e distribuzione dell’acqua, è stata aggiunta una distinzione tra acqua potabile e purified water/WFI (§7.2.1).

Di interesse inoltre il paragrafo conclusivo Further Reading che consiglia letture di approfondimento sul tema.

La deadline per i commenti è fissata all’11 settembre 2020.


Fonte

WHO_Good manufacturing practices: water for pharmaceutical use (draft)

promemoria

WHO: tre nuove draft in fase di commento

Recentemente la WHO ha pubblicato tre nuove linee guida in draft e ha aperto la fase di commento. Vediamo di cosa si tratta.

Good reliance practices in regulatory decision-making: high-level principles and recommendations – LINK RIMOSSO

Il documento ha lo scopo di promuovere un approccio più efficiente all’aspetto regolatorio dei prodotti medicinali e di rafforzare i principi di farmacovigilanza. E’ dunque una linea guida per l’armonizzazione del panorama regolatorio e fornisce definizioni e concetti chiave. Una sorta di cassetta degli attrezzi con istruzioni pratiche, case study ed esempi completi.

Points to consider on the different approaches – including HBEL – to establish carryover limits in cleaning validation for identification of contamination risks when manufacturing in shared facilities – LINK RIMOSSO

Il documento offre diversi approcci possibili per limitare il carryover durante la produzione in impianti condivisi. La linea guida riguarda anche gli health-based exposure limits (HBEL).
Inoltre, vengono forniti chiarimenti sulla convalida della pulizia, nonché importanti punti da considerare quando si rivede lo stato corrente e gli approcci alla cleaning validation nelle strutture multiprodotto.
I principi elencati nel documento sono applicabili sia dai produttori di API che di prodotto finito.

Good manufacturing practices: water for pharmaceutical use

Questo documento tratta la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione di acqua ad uso farmaceutico in bulk. Fornisce una guida sulla gestione qualitativa del sistema dell’acqua, sui sistemi di produzione e di distribuzione, sul trattamento dell’acqua, sulla qualifica e sulla convalida, sul campionamento, i test e il monitoraggio di routine dell’acqua ad uso farmaceutico.
In questa linea guida sarà incluso anche il documento “Production of water for injection by means other than distillation” (Annex 3) dal Technical Report Series No. 1025.


Tutti e tre i documenti potranno essere commentati da agosto a settembre 2020.
La presentazione all’Expert Committee on Specifications for Pharmaceutical Preparations per l’approvazione è prevista per il 12-16 ottobre.

TEAM

Risk Assessment per la presenza di nitrosammine: la nostra esperienza

Si ringrazia il Dr. Daniele Carraro, GMP Compliance Expert di Quality Systems, per il contributo fornito.


Il tema delle nitrosammine e la sua genesi sono noti a chiunque lavori in ambito farmaceutico, così come la richiesta delle Autorità di eseguire un Risk Assessment sui medicinali contenenti API prodotti da sintesi chimica per verificare la potenziale contaminazione da nitrosammine.
Di fondamentale importanza per comprendere meglio l’argomento, è il set documentale che riportiamo di seguito:

  • Questions and answers on “Information on nitrosamines for marketing authorisation holders” (20 December 2019 EMA/CHMP/428592/2019 Rev. 2),
  • Information on nitrosamines for marketing authorisation holders. Request to evaluate the risk of the presence of nitrosamine impurities in human medicinal products containing chemically synthesised active pharmaceutical ingredients (19 September 2019 EMA/189634/2019),
  • EMA advises companies on steps to take to avoid nitrosamines in human medicines (26 September 2019 EMA/511347/2019),
  • ICH guideline M7(R1) on assessment and control of DNA reactive (mutagenic) impurities in pharmaceuticals to limit potential carcinogenic risk (25 August 2015 EMA/CHMP/ICH/83812/2013 Committee for Human Medicinal Products),
  • ICH guideline Q9 on quality risk management (September 2015 EMA/CHMP/ICH/24235/2006 Committee for Human Medicinal Products),
  • Regulatory Highlights, Organic Process Research & Development (December 26, 2019, Andrew Teasdale – Astra Zeneca).

E’ inoltre di qualche settimana fa la notizia che EMA ha spostato la deadline per l’esecuzione del Risk Assessment (fase 1) da fine marzo 2020 al 1° ottobre 2020. Questo concede del tempo utile ai “ritardatari”, ma permette anche alle aziende di riguardare i lavori già fatti con un po’ di tranquillità.

Case study

Noi come Quality Systems ci siamo trovati a preparare, a supporto dei nostri clienti, un discreto numero di Risk Assessment, e crediamo di fare cosa utile nel raccontare quali sono stati per noi i punti più difficili da affrontare e risolvere. Ecco quindi alcuni spunti, che vogliono essere di aiuto a chi sta lavorando o lavorerà a dei Risk Assessment.

L’estrema varietà della documentazione dei fornitori.

Memori dell’implementazione dell’ICHQ3D, ci aspettavamo dai fornitori silenzi assordanti, documenti inutilizzabili o superficiali, tuttavia dobbiamo ammettere che il mondo dei fornitori ha risposto generalmente bene alle richieste documentali delle aziende (con qualche eccezione, ovviamente).

Quello che ha colpito è stata la notevole eterogeneità dei documenti ricevuti.
Anche solo considerando i fornitori di API (ma lo stesso si può dire di fornitori di eccipienti o packaging primario), la documentazione variava dall’approfondita analisi del processo (proprio e dei sub-fornitori) fino alla dichiarazione di poche righe, passando per Risk Assessment volenterosi ma incompleti per mancanza di informazioni dei fornitori di raw materials.

Questa situazione piuttosto variegata crea un problema metodologico a chi deve preparare il Risk Assessment sul prodotto finito. Sebbene le direttive EMA indichino l’ICHQ9 come principale strumento logico di valutazione, compilare una FMEA utilizzando come fonte di informazioni una dichiarazione di poche righe è pressoché impossibile.

Si è quindi reso indispensabile fin da subito avere un approccio flessibile sul tema, applicando le norme del QRM laddove possibile (cioè in presenza di un numero di informazioni adeguato) e facendo delle valutazioni caso per caso laddove le informazioni non erano sufficienti a popolare una FMEA.

Valutare ogni elemento

Per avere una visione ampia e completa del rischio di contaminazione nitrosamminica di uno specifico prodotto farmaceutico, è importante valutare – senza sottovalutarne nessuno – tutti gli elementi che potenzialmente concorrono a tale contaminazione.
Sono quindi da considerare, ovviamente: API, eccipienti, packaging primario, processo di manufacturing e stoccaggio del prodotto.
Ma non possono essere trascurati nemmeno elementi apparentemente secondari, quali: packaging secondario, materiale ausiliario di produzione (agenti pulenti, disinfettanti, ecc.), i materiali di composizione dell’impianto di produzione (acciaio, plastiche, siliconi, filtri, ecc.), le utilities (Purified Water e/o Water for Injection, anche quando non utilizzate come ingredienti, gas inerti di trasporto, aria compressa, vapore pulito, ecc.) …

In definitiva “spezzettare” un prodotto farmaceutico nei suoi componenti e nei processi di produzione diretti ed indiretti, permette di identificare molti elementi, che devono essere tutti valutati, dando loro il giusto peso.

L’importanza dell’acqua

Tutte le aziende farmaceutiche utilizzano, come ingrediente o come utility, Purified Water o Water for Injection.
L’analisi del rischio ovviamente deve prendere in considerazione l’impianto di generazione e i controlli a cui l’acqua è sottoposta, che siano in continuo o a frequenza. Ma non bisogna assolutamente trascurare la qualità dell’acqua in entrata, che sia acqua di rete o acqua di pozzo.
Quindi è importante raccogliere informazioni relativamente ai test a cui è sottoposta, alla frequenza con cui è controllata e verificare bene i risultati dei test di nitrati, nitriti, ammine, ecc. per evidenziare possibili problematiche che non possono essere intercettate nell’acqua di qualità compendiale.

In realtà, la qualità dell’acqua potabile dovrebbe essere una delle informazioni che provengono da produttori di API ed eccipienti, anche perché spesso l’acqua potabile è l’unica utilizzata durante il processo.

Il packaging primario

Non tutti i packaging primari sono uguali.
Detta così sembra ovvio ma l’analisi del packaging primario non è per niente banale, soprattutto se si parla di packaging plastico.
Anche in questo caso la difficoltà principale sta nella documentazione che viene resa disponibile dai fornitori.
Spesso si tratta di dichiarazioni di buon senso, del tipo “ti assicuro che io le nitrosammine non ce le metto nel mio prodotto”, o dichiarazioni estremamente generiche rilasciate dalle multinazionali che producono i granuli di PE o PP.

Anche in questo caso ci si deve attivare per recuperare più informazioni possibili:
Esistono dati di Extractables?
Esistono dati di Leachables (questo è un dato ancora più difficile da ottenere, perché prevede che siano state eseguite prove di interazione tra il prodotto farmaceutico ed il packaging)?
Esistono dati di letteratura?

In mancanza di informazioni: usa la scienza

Altro problema abbastanza frequente. In assenza di informazioni complete, e una volta che le operazioni di “moral suasion” con i fornitori perdono il loro potere, la patata bollente passa nelle nostre mani.
Quindi informazioni di letteratura scientifica, ragionamenti di chimica di base o di puro e semplice buon senso diventano essenziali per vedere nella giusta prospettiva molecole o componenti per i quali le informazioni non ci vengono offerte su un vassoio d’argento.

Non ti accanire

Laddove non si arrivi con le informazioni raccolte e con quelle recuperate, se persistono ancora dei gap informativi, o se comunque ci sono dei motivi più generali di preoccupazione che spingono alla cautela (ad esempio: l’impianto di un’azienda chimica farmaceutica utilizzato promiscuamente tra sartani e non sartani), è importante suggerire al cliente il passaggio alla fase 2, cioè all’analisi del prodotto finito.
Non bisogna dimenticare che tutto quello che viene riportato in questi documenti è soggetto ad ispezione e/o attività regolatorie, e che dunque carenze scientifiche possono far crollare un Risk Assessment come un castello di carte.

In conclusione la nostra esperienza ci permette di suggerire alle aziende incaricate di svolgere il risk assessment per valutare la potenziale presenza di nitrosammine sul prodotto finito di spingersi con la competenza, l’intelligenza e la fantasia fin dove il buon senso lo permette.
E cercare invece la verifica analitica laddove si ritiene che vi siano falle di informazioni che possono causare rischi per l’azienda – e ovviamente per il paziente.